Il Figlio fatto uomo, rivelazione della infinita bellezza, è sommamente amabile

 

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, richiama il popolo di Dio ad osservare scrupolosamente “ciò che in passato è stato stabilito circa il culto delle immagini di Cristo, della beata Vergine e dei Santi”[1]. In nota vengono richiamati il Concilio Niceno II e la sessione 25 del Concilio di Trento[2].

Il Concilio Niceno II è di grande importanza nel dialogo con l’Oriente cristiano. Infatti esso è il “VII ecumenico e l’ultimo ammesso dagli Orientali dissidenti”[3].

Concezioni differenti in Oriente e Occidente

Otto secoli più tardi, nello stesso periodo, “il Concilio di Trento e il ‘Concilio dei cento capitoli di Mosca’ giungono a definizioni opposte quanto alla natura dell’arte divina; l’Oriente e l’Occidente si sono divisi seguendo direzioni diverse”[4].

Per l’Oriente è importante una comprensione dell’arte sacra, poiché “l’icona occupa nella spiritualità orientale un posto di tutto riguardo. Non si può comprendere la pietà ortodossa se si ignora la mistica delle icone”[5].

E comprendere la pietà ortodossa è di grande importanza per chi si dedica al lavoro missionario.

“La divisione dei cristiani porta infatti grave danno alla santa causa della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini e preclude a molti l’accesso alla fede”[6].

Ma vi è anche un’altra ragione che ci spinge, nel lavoro missionario, sulla via della conoscenza dell’Oriente cristiano.

“Né si deve tralasciare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto nei fratelli separati può contribuire anche alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano non è mai contrario ai genuini beni della fede, anzi può sempre far sì, che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente”[7].

E questo mistero di Cristo e della Chiesa sempre più va conosciuto e, in ordine alla diffusione della fede, vissuto profondamente. Ci sarà così un soffio spirituale nuovo in tutta la Chiesa, che apparirà come “la bandiera levata sulle nazioni”, come la “luce del mondo” e il “sale della terra”. Questa testimonianza di vita raggiungerà più facilmente il suo effetto, se verrà data insieme con gli altri gruppi cristiani[8].

A proposito delle immagini sacre, il settimo Concilio ecumenico, espressamente richiamato dal Vaticano II, così si esprime:

“Noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti. Infatti, quanto più frequentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli originali e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, di una vera adorazione [latría], riservata dalla nostra fede solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della croce preziosa e vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto”[9].

È indubbio il valore pedagogico e persuasivo della pittura.

È di Basilio l’affermazione: “Quel che la narrazione storica presenta attraverso l’udito, la pittura esibisce tacitamente attraverso l’imitazione”[10].

Ma il valore della pittura è solo pedagogico, insegnamento della verità, o v’è anche una comunicazione della grazia attraverso di essa?[11].

Qui avviene una separazione tra Oriente e Occidente.

Il Concilio di Francoforte (794) e il Sinodo di Parigi (824) dichiararono che le immagini servono soltanto per l’ornamento e che è indifferente averle o non averle: ‘Non è con la pittura che Cristo ci ha salvati’”[12].

In Occidente

“le definizioni teologiche sulle immagini, forse troppo prudenti, si limitano all’aspetto utilitario: la loro portata pedagogica di insegnamento e di consolazione. Secondo Gregorio Magno l’immagine è una Bibbia per gli illetterati; secondo Bonaventura essa è destinata alla massa incolta”[13].

In Oriente

“l’icona non ha realtà propria; in se stessa non è che una tavola di legno; precisamente perché trae tutto il suo valore teofanico dalla sua partecipazione al ‘totalmente altro’ mediante la rassomiglianza, non può racchiudere niente in se stessa, ma diviene come uno schema d’irradiamento. ... Essa suscita … la parusia del Trascendente di cui l’icona testimonia la presenza. L’artista scompare dietro la tradizione che parla; le icone non sono quasi mai firmate; l’opera d’arte lascia posto ad una teofania; ogni spettatore alla ricerca di uno spettacolo qui si trova spaesato; l’uomo, colto da una rivelazione folgorante, si prostra in atto di adorazione e di preghiera”[14].

Per Ouspensky,

“l’icona non è una semplice immagine, né una decorazione, né una illustrazione della Santa Scrittura. Essa è qualcosa di più grande. È un oggetto cultuale e fa parte integrante della liturgia. Nella sua immagine sacra, la Chiesa vede non uno degli aspetti dell’insegnamento ortodosso, ma l’espressione dell’Ortodossia nel suo insieme, l’espressione dell’Ortodossia come tale. L’icona è una delle manifestazioni della Tradizione sacra della Chiesa allo stesso titolo che la tradizione scritta e la tradizione orale”[15].

Per Boulgakoff,

“l’icona non è solamente un’immagine sacra; essa è qualcosa di più grande che una semplice immagine. Secondo la credenza ortodossa, l’icona è un luogo dove Cristo è presente nella grazia. È, per così dire, il luogo di una apparizione del Cristo (della Vergine, dei Santi, di tutti coloro che l’icona rappresenta)”[16].

In Occidente, invece, secondo Evdokímov, “il Concilio di Trento accentua l’anamnesi, il ricordo, ma in senso chiaramente non epifanico, ponendosi così fuori della prospettiva sacramentale della presenza”[17].

Per Ouspensky, il senso stesso dell’immagine sacra è a tal punto perduto nella Chiesa romana che si può far dipingere un’icona senza curarsi di sapere se coloro che si accingono a quest’opera sono credenti o atei. In tal modo si può tutt’al più parlare di una illustrazione formale delle Scritture o, quel che è peggio, d’una interpretazione individuale della pittura, di proprie invenzioni a proposito di un soggetto scritturistico[18].

Ora è vero che “l’icona non è la realtà in se stessa: essa proprio perché è un’immagine deve essere superata”[19]. Ed è precisamente questo il pensiero dell’Ortodossia.

“‘Noi contempliamo al tempo stesso l’indicibile e il rappresentato’, dice il settimo Concilio: non l’uno o l’altro, bensì l’uno e l’altro, l’uno nell’altro. Questo miracolo orienta il movimento anagogico della preghiera”[20].

Emilio Grasso

(Continua)

 

 

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[1] Lumen gentium, 67.

[2] Cfr. Lumen gentium 67, nota 22.

[3] I. Ortiz de Urbina, Nicea, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, Città del Vaticano 1952, 1832.

[4] Cfr. P.N. Evdokímov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Paoline, Roma 1981, 174.

[5] Cfr. T. Špidlík, Icône, in Dictionnaire de Spiritualité, VII/2, Beauchesne, Paris 1971, 1224.

[6] Ad gentes, 6.

[7] Unitatis redintegratio, 4.

[8] Cfr. Ad gentes, 36.

[9] H. Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum. A cura di P. Hünermann, EDB, Bologna 2000, § 600-601.

[10] Basilio di Cesarea, I martiri: panegirici per Giulitta, Gordio, 40 soldati di Sebaste, Mamante. Introduzione, traduzione e note a cura di M. Girardi, Città Nuova Editrice, Roma 1999, 98.

[11] Cfr. T. Špidlík, L’icône, manifestation du monde spirituel, in “Gregorianum” 61/3 (1980) 541.

[12] P.N. Evdokímov, Teologia della bellezza..., 172.

[13] P.N. Evdokímov, Teologia della bellezza..., 172-173.

[14] P.N. Evdokímov, Teologia della bellezza..., 182-183.

[15] L. Ouspensky, Essai sur la théologie de l’icône dans l’Église orthodoxe, I, Editions de l’Exarchat patriarcal russe en Europe occidentale, Paris 1960, 10.

[16] S. Boulgakoff, L’orthodoxie, Librairie Félix Alcan, Paris 1932, 195.

[17] P.N. Evdokímov, Teologia della bellezza..., 183-184.

[18] Cfr. L. Ouspensky, Essai sur la théologie..., 11-13.

[19] Cfr. T. Špidlík, Alcune considerazioni sulla teologia dell’icona, in “Vita Consacrata” 13 (1977) 579.

[20] P.N. Evdokímov, Teologia della bellezza..., 199-200.

 

 

 

08/06/2021