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Accompagnare i giovani nella scoperta del loro cuore

Qui entriamo nella parte centrale del nostro discorso.

Dicevamo che le parole non sono innocenti. Esse, cioè, comportano sempre una concezione della vita e dei rapporti.

Usando il termine formare già si dà una certa visione del rapporto, anche se poi il rapporto nella realtà sarà differente.Acompañar a los jóvenes 2 1 shutterstock 1409926466

Pensiamo che l’uso del termine accompagnare sia più corretto di quello di formare, in quanto con il termine formare si intende una relazione in cui il maestro plasma la materia, cioè il giovane, secondo una forma che egli già conosce, che già ha nella sua mente. E il formatore – come abbiamo visto – eserciterebbe “un’autorità sulle coscienze e a lui si dovrà rispetto, fiducia, docilità”.

Si possono, pertanto, utilizzare metodologie di pedagogia attiva, cambiare dei nomi e usare certi tatticismi. Resta, però, il fatto che da una parte già si sa cos’è il maestro e dall’altra cosa deve diventare il giovane.

Il termine accompagnare, invece, non contiene in sé la struttura delle causalità aristotelico-tomiste. È un termine che indica un procedere più rispettoso della libertà dei giovani.

Entriamo, allora, nel cuore del problema che è costituito da due libertà che s’incontrano o che forse si scontrano.

Da un lato, abbiamo il giovane che pone la sua libertà come libertà di scegliere. Dall’altro, il maestro che, nella sua libertà di scegliere, ha scelto di accompagnare.

L’incontro non avviene al livello della scelta già fatta né al livello di una scelta ancora da fare. Questo in ragione del fatto che la scelta è asimmetrica. Infatti, da una parte abbiamo il giovane che ancora deve scegliere e dall’altra il maestro che già ha scelto.

La relazione, proprio perché asimmetrica, è delicatissima.

Se la relazione avvenisse sul piano della libertà di scegliere (il piano del giovane), avremmo una falsità di rapporto. Il maestro dovrebbe fingere di trovarsi allo stesso livello del giovane, dovrebbe fingere un’indeterminazione della sua libertà che non è autentica. Ciò condurrebbe a quelle forme di paternalismo e di infantilismo a cui ci fanno assistere molti pseudo maestri. Il maestro pretenderebbe d’essere come il giovane, cercando di vivere nello stesso modo in cui vivono i giovani, per rendersi loro gradito.

D’altro canto, sarebbe falso anche un rapporto in cui non si rispettassero i tempi dei giovani, i tempi del passaggio della libertà: da libertà di scelta da fare (“libertà da”) a libertà come donazione all’amore incontrato (“libertà per”). Questo comporterebbe un trauma nella vita dei giovani con l’adozione di comportamenti che, più che sentiti, accolti e maturati interiormente, sono invece rapporti imposti dall’esterno o imitati.

La verità della relazione consiste proprio nell’asimmetria. Soltanto vivendo fino in fondo questa asimmetria il rapporto è autentico.

Questa asimmetria è possibile viverla, ed è possibile che la relazione sia proficua per entrambi, solo se sia il giovane che il maestro restano aperti alla novità che irrompe.Acompañar a los jóvenes 2 2 shutterstock 305122934

L’incontro asimmetrico si farà simmetrico in un punto più alto.

Uno dei grandi maestri della seconda metà del secolo passato, figura controversa ma centrale come riferimento per una pedagogia autenticamente liberatrice, è e resta padre Lorenzo Milani[1].

Nella sua Storia della Chiesa in Italia, padre Penco ne parla come di “una delle figure più singolari, e in un certo senso unica, della Chiesa del secondo dopoguerra”[2].

La scelta evangelizzatrice è centrale nel progetto pastorale di don Milani. È la chiara scelta di chi si riconosce soltanto uno strumento nelle mani di Dio, tramite nell’incontro tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo.

“Dio — scrive in Esperienze pastorali — non mi chiederà ragione del numero dei salvati nel mio popolo, ma del numero degli evangelizzati. Mi ha affidato un Libro, una Parola, mi ha mandato a predicare ed io non me la sento di dirgli che ho predicato quando so con certezza che per ora non ho predicato, ma ho solo lanciato parole indecifrabili contro muri impenetrabili, parole di cui sapevo che non sarebbero arrivate e che non potevano arrivare”[3].

Si tratta di dare quel “minimo di strumentario tecnico senza del quale non è possibile sostenere un dialogo”[4].

Resta, poi, il problema della scelta personale d’ognuno. E su questo don Milani è di un’estrema chiarezza.

“Non che io abbia della cultura una fiducia magica, come se essa fosse una ricetta infallibile, come se i professori universitari fossero automaticamente tutti più cristiani e avessero il Paradiso assicurato mentre il Paradiso fosse precluso agli indotti pecorai di questi monti. È che i professori se vogliono possono prendere in mano un Vangelo o un Catechismo, leggerli e intendere. Dopo poi potranno fare il diavolo che vorranno: buttarli dalla finestra o metterseli in cuore, s’arrangino, se sceglieranno male sarà peggio per loro”[5].

Vi è in una sua lettera un’espressione tra le più significative riguardo al rapporto giovane-maestro.

“La scuola — scrive don Milani — siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. ... il Maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”[6].

V’è il termine futuro che unico permette la possibilità d’un incontro autentico. Questo futuro chiama a conversione sia il giovane sia il maestro e permette la relazione.Home Acompañar a los jóvenes 2 shutterstock 218846467

Non ci s’incontra, perciò, nel mondo d’oggi dei giovani, né nel mondo d’oggi dei maestri. Ma ci si incontra costruendo il nuovo che irrompe; nuovo che richiede l’alzarsi e camminare degli uni e degli altri.

Questo mondo, dice stupendamente don Milani, va letto negli occhi dei ragazzi. Essi lo portano, ma lo vedranno chiaro solo domani. Noi lo vediamo già oggi, ma solo in maniera confusa.

Ecco perché preferiamo parlare di accompagnare i giovani, anziché di formare. Perché la forma non è in noi, come non è nei giovani. Questa forma possiamo raggiungerla solo nello sforzo di entrambi di uscire da se stessi per incontrare l’altro.

Se questa forma non è ancora determinata, allora la scuola non può essere trasmissione di nozioni, bensì il luogo ove si apprende a essere e a vivere quel che saremo. Perché quella forma di uomo, quella forma di cristiano, quella forma di evangelizzatore è tutta da creare.

In questo consiste anche la crisi di tante comunità ove si sono formati degli stupendi apostoli, laici, sacerdoti, religiosi, catechisti, maestri, missionari. Erano stupendi secondo una determinata forma. Travolta quella forma, in un tempo di crisi di modelli, essi pure sono rimasti travolti.

Emilio Grasso

(Continua)

 

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[1] Cf. E. Grasso, Cultura e annunzio del Vangelo. Il messaggio pedagogico di don Lorenzo Milani, in E. Grasso, Il Volto in ogni volto. Uomini e donne alla periferia del mondo, EMI, Bologna 1999, 39-49. Ivi ampi riferimenti bibliografici.

[2] G. Penco, Storia della Chiesa in Italia, II. Dal Concilio di Trento ai nostri giorni, Jaca Book, Milano 1978, 562.

[3] L. Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1957, 201.

[4] L. Milani, Esperienze..., 189.

[5] L. Milani, Esperienze..., 200.

[6] L’obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di Don Milani, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1971, 36-37.

 

 

 

06/03/2023 

 

Categoria: Articoli