L’appello del Cardinal Robert Sarah

 

Custodire il mistero

La Chiesa deve salvaguardare il silenzio soprattutto nella liturgia. Davanti alla maestà di Dio le parole dovrebbero spegnersi, così che il silenzio sacro apra la porta al silenzio mistico. Senza la dimensione mistica non si comprende la liturgia, perché i misteri non possono essere detti che con un linguaggio silenzioso: “Per preservare il mistero, bisogna proteggerlo dalla banalità profana. Il silenzio svolge ammirevolmente questo ruolo. Un tesoro deve essere posto fuori portata; ciò che è prezioso resta sempre velato. Il nostro stesso corpo è coperto da un vestito, non perché vergognoso o impuro, ma perché sacro e misterioso. Nella liturgia il calice è velato, il ciborio e il tabernacolo sono coperti da un velo quando contengono la Presenza reale. Il silenzio è un velo sonoro che protegge il mistero. Non abbassiamo spontaneamente la voce per dire le parole più importanti, le frasi d’amore? Un tempo, nella liturgia latina, le parole così misteriose del Canone e della consacrazione, pronunciate submissa voce, si avvolgevano in un velo di silenzio”.

Il posto che deve avere il silenzio nella liturgia latina è una preoccupazione centrale del libro, visto che la realtà è piuttosto desolante: “Oggi la liturgia mostra una forma di secolarizzazione che mira a proscrivere il segno liturgico per eccellenza: il silenzio. Certuni cercano di eliminare con tutti i mezzi possibili i gesti di prostrazione e di genuflessione davanti alla Maestà divina: eppure sono dei gesti cristiani di adorazione, di santo timor di Dio, di venerazione e di amore rispettoso”.

La conseguenza è che “ai nostri giorni, ho spesso l’impressione che il culto cattolico sia passato dall’adorazione a Dio all’esibizione del prete, dei ministri e dei fedeli. La pietà è stata abolita, compreso il termine stesso. È stata liquidata da dei liturgisti che l’hanno qualificata come bigotteria, mentre infliggevano al popolo le loro sperimentazioni liturgiche, negando le diverse forme spontanee di devozione e d’adorazione. Sono riusciti a imporre gli applausi, compreso ai funerali, al posto del lutto, che normalmente si esprime con le lacrime: Cristo non ha forse pianto quando morì Lazzaro? Quando gli applausi fanno irruzione nella liturgia, è un segno inequivocabile che è andata perduta l’essenza del sacro”.

Quella del “sacro” è appunto un’altra nozione bistrattata: “Dei teologi affermano che Cristo avrebbe messo fine, per l’Incarnazione, alla distinzione tra sacro e profano. Per altri, Dio si rende così vicino a noi che la categoria di sacro si ritroverebbe superata. Così alcuni, nella Chiesa, non riescono ancora a staccarsi da una pastorale tutta orizzontale, centrata sul sociale e il politico. Vi è, in queste affermazioni o in questi comportamenti, molta ingenuità e forse un’autentica superbia”.

Un rinnovato timor di Dio

Il Cardinale lamenta che oggi certi preti trattino la Messa con eccessiva disinvoltura, come un banchetto loquace al quale, già dalla processione d’entrata, si accostano avanzando verso l’altare “chiacchierando, discutendo o salutando le persone presenti anziché sprofondare in un silenzio sacro riempito di riverenza”. Arrivati alla preghiera eucaristica, si ritengono obbligati a improvvisare o inventare delle formule che eludono le frasi divine. “Le parole di Cristo – si chiede il Cardinale – sono forse insufficienti, da dover moltiplicare le parole puramente umane?”.

Costoro, col pretesto di rendere familiare e abbordabile l’accesso a Dio, hanno voluto che nella liturgia tutto fosse immediatamente intellegibile: “Questa intenzione ugualitaria può apparire degna di lode. Ma riducendo così il mistero cristiano a dei buoni sentimenti, proibiamo ai fedeli di avvicinarsi al vero Dio”.

Il Cardinale ribadisce che il sacro e il culto sono le uniche porte d’entrata alla vita spirituale. Bisogna, dunque, imparare di nuovo il timor di Dio, perché una grande regola della vita spirituale è che l’eccessiva familiarità non favorisce l’intimità. Al contrario, una giusta distanza è la condizione di una comunione profonda.

Il silenzio va riscoperto, attingendo alla ricchezza di tutte le tradizioni, latine e orientali, superando contrapposizioni polemiche e sterili, e dispute ideologiche che vogliono umiliare la parte avversa: “Come Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, voglio ricordare una volta di più che la celebrazione ad orientem è autorizzata dalle rubriche del Messale perché è di tradizione apostolica”. Infatti, celebrando rivolto verso l’altare (ad orientem), il sacerdote “è meno tentato di diventare un professore che fa lezione durante tutta la Messa, riducendo l’altare a una tribuna il cui asse non è più la Croce ma il microfono. Al contrario, rivolto all’Oriente e alla Croce, il celebrante prende coscienza che è, come ricorda spesso Papa Francesco, un pastore che marcia davanti alle pecore. Il sacerdote si ricorda che è uno strumento nelle mani di Cristo sacerdote, e che deve tacere per lasciare penetrare la Parola. Le sue parole sono derisorie di fronte all’unico Verbo eterno”.

La lettura di questo libro, di cui è imminente la pubblicazione nell’edizione italiana, farà molto bene non solo a chi cerca Dio, ma anche a quei sacerdoti che vogliono ricondurre una comunità parrocchiale a riscoprire la fecondità del silenzio. Come sul piano personale la conquista del silenzio è una lotta e un’ascesi, così sul piano pastorale ci vuole audacia per liberarsi di pratiche che, cedendo alla banalità di arbitrari luoghi comuni, hanno esiliato il silenzio dalle chiese e dalla liturgia.

Michele Chiappo

 

 

 

“Il silenzio è difficile, ma rende l’uomo capace di lasciarsi condurre da Dio. Dal silenzio nasce il silenzio. Attraverso Dio, il silenzioso, possiamo aver accesso al silenzio. E l’uomo non cessa di stupirsi per la luce che ne scaturisce. Il silenzio è più importante di qualsiasi opera umana. Perché esprime Dio. La vera rivoluzione viene dal silenzio, ci conduce a Dio e agli altri per metterci umilmente e generosamente al loro servizio”.

 

 

 

 

01/06/2017