Il libro di Stephen Smith, Fuga in Europa. La giovane Africa verso il vecchio continente, affronta il tema tanto dibattuto della migrazione di massa da poco iniziata, ma che si pone come una sfida drammatica di questo secolo, e tenta di orientare la discussione a partire dai dati oggettivi della geografia umana dell’Africa.
Presentiamo il libro di Stephen Smith, Fuga in Europa. La giovane Africa verso il vecchio continente, Einaudi 2018, 164 pp.
Stephen Smith, scrittore, docente universitario e profondo conoscitore dell’Africa subsahariana, di cui si è occupato anche come giornalista dei periodici francesi Libération e Le Monde, in questo libro affronta il tema tanto dibattuto della migrazione di massa da poco iniziata, ma che si pone come una sfida drammatica di questo secolo, e tenta di orientare la discussione a partire dai dati oggettivi della geografia umana dell’Africa, per l’Autore finora imprudentemente sottovalutati anche dall’Unione Europea.
Dal 2013, in effetti, ha avuto inizio un flusso sempre più crescente di rifugiati e di migranti verso l'Unione Europea, in particolare nell'Europa meridionale dove, dal 1990 al 2017, il numero è più che triplicato, passando da circa 4 milioni a quasi 16 milioni. Questo incremento, insieme agli importanti cambiamenti nei flussi migratori registrati in Europa negli ultimi trent’anni, all’esplosione demografica della vicina Africa e all’invecchiamento dell’Europa, muove l’Autore ad analizzare un’evoluzione che si manifesta non soltanto come il risultato di eventi straordinari e transitori, bensì come una tendenza di ormai lungo periodo e che si proietta inevitabilmente nel futuro.
Fuga in Europa, evitando stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni, fornisce numeri e dati, analizza l’ampiezza del serbatoio migratorio costituito dall’Africa, cercando di prevedere tempi e portata di flussi migratori di quella che, secondo l’Autore, sarà nei prossimi decenni una vera e propria corsa dall’Africa verso l’Europa.
“Le migrazioni sono vecchie come il mondo e non cesseranno”, scrive Smith e, in tal senso, cerca una prospettiva che, superando l’aspetto morale e manicheista con cui sovente si guarda alla questione della migrazione, la sposti dal pantano del confronto ideologico, come per esempio sta accadendo in Italia, e punti al bene comune degli uni e degli altri: “Non si tratta di scegliere tra il Bene e il Male ma di governare la polis nell’interesse dei suoi cittadini”.
Il “giovanismo” africano e la vecchia Europa
Tratteggiando un quadro vivace della geografia umana del continente africano e della enorme massa della gioventù africana, il libro invita a considerare la panoramica di “un’Africa isola-continente di Peter Pan”, che contrasta enormemente con un’Europa a crescita demografica zero.
La crescita demografica senza precedenti e il “giovanismo” dell’Africa subsahariana sono un punto di partenza importante del ragionamento dell’Autore:
“Se l’espressione ‘giovane africano’ è pressoché pleonastica a sud del Sahara, allora la geografia umana assume un’importanza fondamentale per la comprensione dell’Africa contemporanea” (Introduzione, XXV).
Prima della Seconda guerra mondiale, l’Africa, anche a motivo della tratta degli schiavi e del colonialismo, contava solo 100 milioni di abitanti ed era troppo povera per pensare a migrare. L’Europa, esclusa la Russia, ne aveva 275 milioni.
Dopo il conflitto, la popolazione africana è passata dai 320 milioni del 1960 al miliardo del 2015. Oggi, nell’Unione Europea vivono 510 milioni di persone, a fronte di 1,3 miliardi in Africa. Nel 2050, il rapporto sarà di 450 milioni di europei contro i 2,5 miliardi di africani. Inoltre, la popolazione europea sarà ulteriormente invecchiata, mentre i due terzi degli africani continueranno ad aver meno di trent’anni. Nel 2100, tre persone su quattro del mondo saranno nate a sud del Sahara e se si mantiene il trend attuale, secondo molti esperti, l'Europa avrà fra trent'anni all'interno dei suoi confini dai 150 ai 200 milioni di afro-europei, rispetto ai 9 milioni odierni.
In Africa, inoltre, si registra una classe media di 150 milioni di consumatori con un reddito medio quotidiano tra i 5 e i 20 dollari, segno che l’Africa sta emergendo e uscendo dall’assoluta povertà, una grande conquista per il continente; nello stesso tempo, però, il primo effetto è che molti di quelli che ne hanno la possibilità scelgono la fuga, con danno anche dei Paesi che vedono partire le persone più intraprendenti.
Ormai più della metà dei Paesi africani ha accesso ad internet e un numero crescente di persone è connesso con il resto del mondo tramite cellullari e canali televisivi e dispone di mezzi necessari per affrontare un viaggio pericoloso. Chi affronta il rischio enorme del viaggio e cerca di attraversare il Mediterraneo è il più giovane, il più forte e chi ne ha i mezzi. Chi vive in estrema povertà non ha le condizioni per migrare.
L’elevata percentuale di giovani, 4 su 10 ha meno di 15 anni, ha già, e lo avrà ancor più nei prossimi anni, un effetto su tutti gli aspetti della vita sociale dell’Africa, creando tensioni inevitabili in un continente caratterizzato da una forte gerontocrazia. D’altro canto, nota l’Autore, gli anziani sono solo il 5%, un’esigua parte della popolazione, e troppo pochi per trasmettere i valori tradizionali ad una massa di giovani che per lo più si orientano e si formano tra coetanei.
Attraverso l’antenna parabolica e la rete, i giovani africani globalizzati, ancor prima di partire, si trovano con l’immaginazione nel posto che costituisce il loro sogno. Con una sorta di “migrazioni a cascata”, si spostano per raggiungerlo, prima dal villaggio al capoluogo più vicino, poi alla città di provincia, alla capitale, ad una metropoli regionale in un Paese vicino più fortunato, fino a giungere in Europa o negli Stati Uniti o in Cina.
Nel corso del 2015, la maggioranza degli africani giunti in Europa non erano in imminente pericolo di vita o vittime di repressioni e carestie, per lo più erano persone giovani desiderose di trovare condizioni di vita migliori.
Secondo un’inchiesta dell’Istituto Gallup su scala continentale, il 42% degli africani tra i 15 e i 24 anni e il 32% dei diplomati della scuola superiore si dicono propensi ad emigrare dal proprio continente.
Tutti questi dati, ed altri presenti nel libro, sono pur sempre proiezioni e statistiche che, come si sa, possono essere orientate dalla politica e utilizzate ideologicamente; rimane sempre, inoltre, lo scarto di decisioni e di interventi umani, ma come lo stesso Autore avverte, senza illusione di un’esattezza al di fuori della loro portata, calcoli e previsioni valgono come ordini di grandezza e punti di rifermento comparativi per comprendere la realtà.
Tendenze dei flussi migratori
Accanto a questi dati, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, l’Autore osserva tre tendenze marcate relative alle migrazioni in Europa.
Da una parte, si evidenziano la riduzione della quota magrebina nei flussi migratori dall’Africa e l’aumento di quella proveniente dal sub Sahara. Si riduce anche la migrazione all’interno del continente africano e aumenta quella intercontinentale con una diversificazione anche nella destinazione dei flussi migratori in partenza dall’Africa.
Dall’altra, di fronte al palese invecchiamento della popolazione europea, si pone la necessità delle migrazioni. Solo per mantenere stabile il numero dei propri abitanti, l’Unione Europea, nel 2050, dovrebbe aver accolto circa 50 milioni di migranti, 80 milioni se si volesse stabilizzare la popolazione attiva che garantisce i servizi sociali alla parte inattiva (pensionati o minori).
Citando, inoltre, un’opera del Condirettore del Centro Studi delle Economie Africane, Paul Collier, l’Autore denuncia la crescente politicizzazione della migrazione, prima ancora di essere analizzata e deplora che il dibattito oscilli tra “porte chiuse o diritto di stabilirsi dove si vuole”, invece di cercare una strada percorribile sulla base di una reale politica dell’immigrazione.
In maniera molto schietta e documentata, pur notando che la chiave demografica non è il passe partout, Smith affronta i paradossi con cui i Paesi ricchi affrontano il fenomeno tra un oscillare di interessi geopolitici, registri del rifiuto, politiche limitate di aiuti allo sviluppo, prendendo la distanza sia dall’egoismo nazionalista che dall’universalismo umanista e cercando sulla base della razionalità dei dati un difficile punto di equilibrio tra interessi e ideali.
Scenari futuri
Smith conclude il suo libro tracciando alcuni scenari che potrebbero delinearsi nei prossimi decenni.
Il primo è quello definito “Euroafrica”, si tratterebbe di un processo simile a quello avvenuto in America, in cui l’Europa diverrebbe una terra di immigrazione a tutti gli effetti e abbraccerebbe il suo “meticciaggio generalizzato” con una buona accoglienza dei migranti africani, nella speranza che ringiovaniscano, diversifichino e rendano più dinamico il vecchio continente. Sarebbe il trionfo dell’universalismo umanista e delle missioni umanitarie nel Mediterraneo. Rimarrebbe però il problema di chi finanzia posti di lavoro, abitazioni e istruzione per questi sventurati. Questo modello delle porte aperte, inoltre, significherebbe la fine della sicurezza sociale, fondata su un contratto di solidarietà intergenerazionale. Lo Stato sociale senza frontiere è una contraddizione, si scontra con la incapacità di una società di creare ricchezza senza limiti e alla fine rimarrebbe solo lo Stato di diritto che si troverebbe nella necessità di impedire la guerra di tutti contro tutti.
Il secondo scenario possibile sarebbe quello della “fortezza Europa”, la chiusura delle porte e la messa in sicurezza delle frontiere con tutti i mezzi pratici e politici che la ricca e vecchia Europa avrebbe. Se si considera, però, la massa di migranti prospettata dai dati analizzati, non ci sarebbero fossati, muri o dighe che reggerebbero la pressione.
Vi è, inoltre, il rischio di una deriva mafiosa, che costituirebbe il terzo scenario, originata da una connivenza o da una contesa tra i trafficanti africani e la criminalità organizzata europea che trasformerebbe le migrazioni in vere tratte di persone legate al prossenetismo e che diverrebbe un reale pericolo terroristico, se la malavita europea decidesse di mettersi al servizio di un’estrema destra militante e clandestina per la difesa dell’identità europea.
Un ulteriore scenario è quello del ritorno al protettorato, considerato marginale per via del disincanto popolare e della storia coloniale, ma da non escludere. L’Europa, di fronte ad ondate migratorie percepite come minaccia esistenziale, potrebbe ricorrere a vecchie soluzioni come quella di garantirsi la collaborazione di regimi africani in cambio di ricompense, strategia che potrebbe essere applicata anche nella gestione condivisa dei flussi migratori.
Il quinto scenario, infine, che l’Autore ritiene il più valido, sarebbe quello di mettere insieme tutte le opzioni precedenti senza mai realizzarle fino in fondo, fare, quindi, un po’ di tutto, ma senza esagerare. Per Smith, significherebbe attuare una politica “raffazzonata” che è particolarmente compatibile con il funzionamento non lineare delle democrazie odierne. Applicare ora l’una ora l’altra delle strategie elencate, un po’ come ha fatto la Spagna, barcamenandosi tra compromessi e cooperazione con i Paesi africani, permetterebbe una gestione morbida dei flussi migratori, sarebbe una scommessa sulla possibile vera prosperità dell’Africa e un modo per affrontare questa sfida epocale con una politica lungimirante ed efficace.
(A cura di Emanuela Furlanetto)
10/12/2019