Presentiamo un libro il cui tema è di grande attualità e che richiede approfondimento e discernimento: i preti africani in Europa sono “missionari” o “commissionati”?

Olivier Nkulu Kabamba, Les prêtres africains en Europe “missionnaires” ou “missionnés”?, L’Harmattan, Paris 2011, 102 pp.

 

 

Una Chiesa multiculturale in Europa

Il volto della Chiesa in Europa è ormai multiculturale per le immigrazioni di stranieri, provenienti da diversi Paesi, fra i quali numerosi arrivano anche dall’Africa.

Sempre più, nelle assemblee domenicali, si può notare la partecipazione di fedeli africani. Spesso, sacerdoti africani presiedono anche tali assemblee, in quanto essi vengono in Europa come inviati delle loro Chiese locali.

Questi sacerdoti risiedono in Europa per dei periodi più o meno lunghi, per conseguire specializzazioni di studi o per brevi sostituzioni di sacerdoti europei durante l’estate. In altri casi, s’inseriscono definitivamente nel lavoro pastorale in Italia, in Spagna, in Francia, in Belgio e in Germania (in Europa essi sono già il 10% in media del clero).

Olivier Nkulu Kabamba, l’Autore del libro che presentiamo, è uno di questi sacerdoti provenienti dall’Africa, nel suo caso dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla diocesi di Kamina, nel Katanga. Egli ha svolto un servizio missionario di quattro anni in Québec (Canada) e, poi, per oltre ventun anni in Belgio (calcolati al momento della pubblicazione del libro), dove risiede attualmente e lavora nella pastorale urbana, non lontano da Bruxelles.

La sua è, dunque, una riflessione scientifica, in quanto teologo e insegnante, ed è allo stesso tempo una testimonianza di un’esperienza vissuta per più decenni di apostolato in Occidente.

Egli ne conserva globalmente un bilancio positivo a livello personale. Sul fenomeno più ampio approfondisce gli interrogativi di fondo: egli vaglia le motivazioni addotte dai sacerdoti africani i quali, spesso alla fine degli studi di specializzazione, chiedono di poter lavorare in Europa. Riflette sulle difficoltà enormi per poter ottenere i permessi necessari d’entrata in Europa, sul tipo di accoglienza che ricevono, sulle sfide che essi debbono raccogliere nei nuovi contesti.

Come valutare questo fenomeno?

Olivier Nkulu Kabamba desidera fare anche una riflessione missiologica e cerca di discernere e presentare il senso storico e teologico di questo tipo di missione.

L’Autore delinea, rispondendo alla domanda posta nel titolo del libro, la differenza del movimento “missionario” che è stato vissuto dall’Europa verso l’Africa rispetto a quello che si vive oggi dagli “inviati”, in senso teologico e senza connotazioni storiche trionfalistiche, verso l’Europa. Definisce questi ultimi “inviati”, ma potremmo tradurre questo termine anche con “commissionati” per compiere un servizio, in modo più modesto, in base al senso che egli attribuisce al termine e all’esperienza vissuta.

Con tatto ed equilibrio, egli mostra però chiaramente la differenza di questi storici flussi migratori. Nel primo caso, i missionari del 1800 e del 1900 erano parte integrante di un disegno civilizzatore europeo, sostenuto dall’ambiente e dalle famiglie di origine sul piano politico, culturale ed anche economico. Erano inoltre i protagonisti del racconto dell’epopea missionaria europea.

Nel caso dei sacerdoti africani che vengono in Europa, al contrario, essi non possono contare su alcun tipo di sostegno per partire, ma sono anche confrontati con le attese da parte delle Chiese e delle famiglie di origine, che vivono in contesti di estrema povertà.

Questi sacerdoti partono senza che vi sia un progetto unitario di evangelizzazione da parte della Chiesa africana e s’inseriscono, inoltre, in un contesto politico e sociale europeo che è dilaniato da populismi e da difese identitarie nei confronti degli stranieri.

Sottolineiamo che sarebbe necessaria, inoltre, una preparazione profonda, come quella giustamente invocata per i missionari che partono per l’Africa per abbordare correttamente le culture e i popoli destinatari dell’evangelizzazione (tale acquisizione lenta della storia della missione è stata messa in evidenza dalla Chiesa postconciliare in poi).

Troviamo posizioni contrastanti di fronte a questa missione dal Sud al Nord del mondo.

Nel migliore dei casi, i sacerdoti africani sono accolti con queste affermazioni: “Noi missionari vi abbiamo portato la Buona Novella. Oggi siete voi che venite ad evangelizzarci. È la giusta restituzione degli eventi!” (p. 7).

Kabamba ci presenta con questo la posizione di coloro che accolgono positivamente gli arrivi in Europa dei “preti stranieri”, “preti emigrati”, “che vengono da lontano”. Queste espressioni indicano la distanza che rimane nei loro confronti.

La presenza dei sacerdoti africani, anche da parte di chi li accoglie benevolmente non è considerata, comunque, come un cambiamento epocale di una missione che viene dal Sud, ma solo un fenomeno transitorio, di supplenza, in quanto risponde al bisogno di rimpiazzare i sacerdoti troppo anziani per presiedere anche la vita liturgica e far fronte alla mancanza di vocazioni in Europa.

Vi sono altri, invece, che hanno numerose riserve e critiche ed esprimono chiaramente il loro disaccordo di fronte a queste integrazioni. Essi vorrebbero che la Chiesa in Europa percorresse la via di un’accresciuta responsabilizzazione dei laici, dell’ammissione delle donne ai ministeri ordinati, del sacerdozio di uomini sposati, del raggruppamento delle parrocchie, piuttosto che trovare delle soluzioni tampone, facendo ricorso a preti stranieri per far fronte alle difficoltà della nuova evangelizzazione nel contesto della secolarizzazione.

I sacerdoti stranieri si ritrovano, inoltre, al centro di una situazione di polarizzazione nella Chiesa europea fra i tradizionalisti, che si ripiegano su se stessi e le proprie devozioni, e i progressisti che vanno troppo al seguito delle mode del tempo.

Per i critici dell’integrazione ecclesiale di nuove leve, la migrazione dei sacerdoti africani è solo un sintomo della più ampia emigrazione dall’Africa, delle problematiche della Chiesa africana che non è ancora in grado di assicurare un livello di vita dignitoso ai suoi preti e di far fronte alle situazioni di gravi malattie. Questi sacerdoti sono considerati solo persone che cercano spesso aiuti economici per se stessi e per l’Africa. Si sottolinea che non sono stati né invitati né chiamati e, a volte, sono anche in posizione irregolare rispetto ai Vescovi delle diocesi d’origine.

Per un'ecclesiologia di comunione

Nelle diverse opinioni, si è lontani da una riflessione profonda sulle cause della crisi dell’evangelizzazione in Europa e delle vocazioni ed estranei ancora a una visione ecclesiologica di comunione e della missione in tutte le direzioni, come espressione fondamentale della Chiesa.

Kabamba non rigetta in blocco tanti aspetti messi in evidenza dai detrattori del movimento della missione dall’Africa verso l’Europa, ma sottolinea che non bisogna generalizzare.

Egli ricorda, piuttosto, la buona inserzione della maggioranza di questi sacerdoti nel contesto culturale e pastorale. Egli invita a considerare questa realtà come un segno dei tempi di uno scambio ecclesiale, vissuto nell’incontro di due povertà (povertà di preti in Europa e povertà di mezzi di sussistenza in Africa). Ma non per questo, tale incontro potrà essere meno positivo, se vissuto in uno spirito evangelico di apertura reciproca.

L’Autore fa eco alle preoccupazioni e alla necessità di un discernimento espresse dai Vescovi che accolgono i sacerdoti africani. Questi ultimi vorrebbero un dialogo costante con i Vescovi dell’Africa nel quadro degli accordi fidei donum.

La Francia ha istituito, in questo senso, a Parigi un ufficio apposito per dialogare e discernere le richieste di inserimento di questi sacerdoti in un quadro ecclesiale e giuridico più chiaro, prevedendo anche una formazione mirata alla loro integrazione.

Alcuni Vescovi si mettono in viaggio per visitare e conoscere meglio le diocesi e il contesto dai quali provengono i loro preti di origine africana.

Kabamba, esprimendo una preoccupazione missiologica, presenta inoltre i documenti del Magistero al riguardo: quelli che incoraggiano la formazione dei preti africani in Europa, ma documenta anche i richiami della Congregazione per la Propagazione della Fede a non trascurare i bisogni dell’Africa di sacerdoti ben formati. La Congregazione invita dunque i sacerdoti che hanno terminato gli studi di rientrare in Africa e non istallarsi in Europa per motivazioni diverse dalla preoccupazione evangelizzatrice.

Ancora una volta, vi è la necessità di discernimento e di non generalizzare.

Incontro di due povertà

L’Autore offre con semplicità la sua esperienza d’“inviato”, giunto in Europa senza posizione di prestigio o di potere, che ha vissuto una vera kenosi, uno svuotarsi e chinarsi di fronte a culture che hanno perso ogni riferimento religioso.

Condividere della propria povertà, senza essere in posizione di prestigio e di potere può essere forse la testimonianza più significativa di questi sacerdoti africani in Europa che possono offrire solo la forza della Parola di Dio.

Le difficoltà non mancano nell’incontro. Nelle parrocchie in Belgio, ad esempio, ormai composte in gran parte da fedeli anziani, a volte si fa fatica ad accogliere la novità di cui sono portatori tali sacerdoti che vengono da lontano.

Questi ultimi debbono far attenzione, d’altra parte, a non trasportare in modo semplicistico forme di liturgia e di pastorale vissute in Africa.

Essi non dovranno neppure farsi troppo intimidire e adeguarsi alla routine del “si è fatto sempre così”, rinunciando al carisma delle giovani Chiese di cui sono portatori.

Kabamba non nasconde, dunque, il malessere vissuto dai sacerdoti africani nell’incontro fra le due Chiese e culture, e di un certo paternalismo espresso dalle Chiese europee:

“L’‘inviato’ africano, che sia sacerdote, laico o religioso, è chiamato solo a rispondere ai bisogni della comunità ecclesiale che lo accoglie e rimane alla mercede di quest’ultima. In termini brutali – egli scrive ‒ è la Chiesa particolare, ‘padrona’ in casa sua, che detta la sua legge al prete ‘inviato’, che gli fissa il quadro e le condizioni della sua missione. L’‘inviato’ è letteralmente al servizio della Chiesa particolare che l’accoglie, i suoi margini di manovra o d’iniziativa sono ridotti allo stretto necessario” (p. 37).

Pur mettendo in evidenza le zone grigie, da una parte e dall’altra, di questa missione dei preti africani in Europa, Kabamba, nel valutare il suo giubileo d’impegno missionario in Occidente, sottolinea che

“ogni prete africano inviato dalla sua diocesi o dal suo Vescovo in Europa è una presenza evangelica che irradia nella vita della Chiesa che lo riceve e di conseguenza è piuttosto una presenza che arricchisce e non una presenza che impoverisce” (p. 95).

In conclusione, egli afferma che “la presenza dei preti africani nel panorama ecclesiale europeo porta dei frutti che bisogna saper accogliere nello spirito stesso della cattolicità della missione della Chiesa” (p. 96).

È innegabile l’attualità della problematica fatta emergere da questo libro e l’equilibrio dell’Autore che l’ha sviluppata. Egli l’ha fatto presentando con correttezza scientifica le diverse posizioni e in un atteggiamento di sincero dialogo ecclesiale.

Ulteriori approfondimenti missiologici della problematica della nuova evangelizzazione nel contesto della mondializzazione sarebbero molto opportuni.

Vogliamo ricordare un proverbio popolare africano che dice: “La mano che dona è sempre più in alto di quella che riceve”.

Questo per sottolineare che è ormai tempo che l’Europa lasci dietro di sé ogni atteggiamento di paternalismo e di superiorità e sappia sedersi con gli altri come fratelli alla tavola eucaristica mettendo in comune la saggezza della sua esperienza millenaria e aprendosi alla testimonianza giovane di questi inviati d’Africa.

Non bisogna giudicarli ed etichettarli prima della loro inserzione e del loro servizio pastorale. C’è da superare la paura della novità e non vanno considerati sempre come stranieri di passaggio perché, come sottolinea l’Autore stesso, “non ci sono stranieri nella Chiesa” (p. 92).

Antonietta Cipollini

 

 

 

04/02/2020