Pierangelo Bertoli, un cantastorie che ci piace riascoltare

 

Pierangelo Bertoli nasce a Sassuolo, il 5 novembre 1942, da una famiglia operaia.

A soli dieci mesi è colpito da una grave forma di poliomielite, che lo priva della funzionalità degli arti inferiori.

Dopo diversi tentativi in un ospedale di Bologna, per un recupero parziale della funzione locomotoria, stanco delle diverse visite che non portavano mai a niente, dice basta e decide di fare il cantautore.

Impara così la chitarra da autodidatta, quando ha già 25 anni. Dopo un anno comincia a comporre le prime canzoni.

Nella seconda metà degli anni Settanta conosce e sposa Bruna con la quale ha tre figli: Emiliano, Petra e Alberto.

Nel 1991 e nel 1992 partecipa al festival di Sanremo.

Muore a Modena, a seguito di una malattia inguaribile, il 7 ottobre 2002.

 

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Ascoltando Bertoli, sembra di fare un viaggio sulle ali dell’utopia, dove ogni concetto su cui gli accordi si posano ti parla di una bellezza che puoi abbracciare solo nell’immaginazione: quel “buono”, quel “vero”, quel “bello”, infatti, richiedono molto più di un semplice ascolto e anche di una semplice composizione.

Eppure Pierangelo credeva che quello che diceva potesse realizzarsi.

Cantautore sassolese, in una regione che è sempre stata attenta ai problemi sociali, alle lotte per la terra e quelle degli operai nelle fabbriche, associata, nel nome, a quel colore rosso da cui per anni ed anni è stata governata, ha cercato di esprimere il suo pensiero fin dove gli occhi andavano a cadere, anche negli angoli più nascosti della vita della nostra gente.

Le canzoni di Pierangelo vanno lette tutte nella sua sfida a un mondo che premia i corrotti, che bacia la mano ai ricchi e ai potenti, e che lui rifiutava.

Anticlericale doc, non sopportava vescovi e prelati, sognava un mondo comunista, con tutte quelle sfaccettature che potessero conferirgli un volto umano che lo distaccasse da quello tradizionale, così come concepito dall’asse sovietico.

Non sopportava nemmeno tutti quelli che gli mostravano sentimenti di compassione e di pietà per la sua malattia: la poliomelite, presa in tenera età, lo aveva costretto per sempre su una sedia a rotelle.

Gli anni Settanta, sulla spinta del ‘68, sono stati determinanti per quella linfa utopistica che ha riversato in alcune sue canzoni, affacciandosi, però, a un mondo da cambiare, senza proporre il metodo per farlo.

Ha scoperto la musica come veicolo dei sentimenti e se ne è innamorato. In un’intervista ricorda il fascino che gli dava, nella band dove suonava, “smontare” la musica: la parte della chitarra, del basso, della batteria, delle tastiere.

Forse anche questo ispirerà in lui la bellezza dell’unire le differenze in una sinfonia che canta la verità e la libertà.

Bertoli ha iniziato a cantare nelle sale agli inizi degli anni ‘70, schierandosi da una parte ben precisa: gli operai, quelli che sono costretti ad emigrare, i deboli e gli esclusi in generale.

E il suo ardore musicale l’ha messo tutto in quella ricerca di giustizia che il mondo non gli dava.

Perché bisogna rimettere le cose a posto. E, come “L’azzurro sta nel cielo / Ed il verde sta nei prati”, così il “Rosso è il colore dell’amore” (Rosso colore dell’amore del 1974).

Le radici di Bertoli sono proprio in quell’album su cui si innesta tutto lo sviluppo successivo. E, così, ha parlato della guerra, come in Cristalli di memoria (dove parla di un reduce dalla Russia); o del golpe in Cile, nella canzone Non vincono.

Nel suo repertorio ci sono anche altre canzoni antimilitariste, come Il Treno e Varsavia, quest’ultima ispirata dal golpe militare polacco del 1982.

Ha affrontato anche il tema dell’uniformazione incondizionata ai modelli predicati dalla televisione, in Il centro del fiume, dove l’individuo viene convinto dal di dentro a comportarsi in modo conformista, a comprare tutto quello che viene pubblicizzato, fino a “Dar retta a tutte queste cose / E vivere per quello che non sei”.

Purtroppo dobbiamo fare una scelta e affrontiamo solo alcune di queste tematiche cantate da Bertoli.

La forza della parola

Il primo tratto che caratterizza Pierangelo Bertoli come cantastorie è il valore che ha dato alla parola.

La parola deve essere ripulita da ogni mistificazione e ipocrisia e deve rispecchiare quello che uno pensa e vive: solo così si può essere un vero cantastorie.

Significativo è l’episodio che ha dato vita alla canzone A muso duro.

Come racconta lo stesso Bertoli, il produttore della casa discografica presso la quale incideva gli disse che trovava i testi delle sue canzoni ormai superati, datati. Insomma, lo invitò a rinnovarsi e a trovare un linguaggio più adatto al circuito commerciale. Pierangelo ci pensò un po’, poi scrisse quella canzone e avrebbe continuato a cantare le sue canzoni “a muso duro”, con quel linguaggio che è stato parte della sua vita, senza paura di nessuno e senza dover piacere a tutti, a qualunque costo.

Bertoli reclama l’autenticità della persona, pretende di ascoltare e dire parole piene di significato e non suoni vuoti dettati dalla convenienza e dall’opportunismo.

Bertoli canta per contestare e, come con tutti i profeti, ci troviamo di fronte a qualcuno che con poco cerca di scuotere le coscienze di molti e che si ritroverà, purtroppo, perdente, come ogni buon profeta, messo all’angolo come un juke-box a gettone, come canta nella canzone Ballata all’ultimo nato.

Del resto sa benissimo che non è una canzone come, per esempio, Blowin in the wind, di Bob Dylan, che farà cessare la guerra nel Vietnam; crede, tuttavia, che in essa ci siano tutti i presupposti per creare nei giovani la voglia di cambiare e dire la loro, cercando di impedire che tutte le risposte di comodo o di convenienza da dare ai vari problemi cadano inesorabilmente nel vento.

Per lui, il rumore dello sparo o della dinamite lacerano e creano solo risentimento e senso di vendetta, mentre il suono della poesia crea cultura, riconciliazione, rinnovamento.

Più la parola è semplice, più è vera. Questo è espresso in una delle sue prime canzoni: Per dirti t’amo. Non occorre elemosinare parole da qualche parte, né illudersi che con formule suggerite dal quinto potere dei mass media si possano esprimere i propri sentimenti, meglio che con le parole della semplicità e “in modo naturale”.

L’amore

Per Bertoli l’amore è la cosa più importante della vita. Non amare, per lui, è impossibile.

Nella canzone Ho trovato l’amore, c’è una lista infinita di situazioni d’amore che lo stupiscono: dallo sguardo dell’uomo nei campi al bambino che dorme; dal sorriso di una mamma che canta all’ardore di un popolo in lotta. E ancora di più. Ecco allora l’affermazione di fondo con la quale Bertoli vuole mettere la sua firma a questa canzone: “Se è bastato mostrare un sorriso / Per vedere sbocciare l’amore / Voglio aprire alla gente il mio viso / E parlargli col cuore”.

E nell’amore di coppia, con l’esperienza personale di un amore incrollabile, la preoccupazione e l’ansia dell’uomo che cammina sul filo nel vuoto, dove ogni piccolo passo è una conquista e anche un’insidia per questa estrema fragilità dell’essere umano. È nella canzone Pescatore, scritta con Marco Negri e cantata con un’ancora sconosciuta Fiorella Mannoia, che Bertoli si confronta con questa problematica: la possibilità del tradimento e la necessità di ancorarsi a uno scoglio più solido dell’amore, quello della fedeltà.

Il brano è da ascoltare attentamente e Bertoli ci invita a pesare una ad una le parole, aiutandoci musicalmente con il ritmo del canto e l’alternarsi delle parti.

Una sua visione particolare è che l’amore non può rintanarsi in una stanza e chiudere tutte le finestre che si affacciano sul mondo. Ecco perché sottolinea la bellezza di ritrovarsi insieme per condividere tutto, soprattutto “La gioia prepotente delle feste di paese / Festival dell’abbondanza dell’amore / Dove il popolo festeggia le bellezze della vita / Dove il cuore si riempie di calore”, come canta nella canzone Rosso.

Perché, come in C’era un tempo, l’amore è condivisione di tutto, anche delle idee e dello stesso stile di vita. Senza questi presupposti, ciò non è possibile: ognuno per la sua strada.

Per lui amore è amicizia pura. Lo esprime in maniera eccellente nella canzone Chiama piano, una delle più belle. È un testo importante, che supera qualsiasi immaginazione tanto più per lui, impossibilitato a muoversi. È pronto, però, a correre laddove ci sia bisogno. Per cui: “Chiama, chiama piano / Sai che non sarò lontano / Chiama, tu chiama piano / Ed arriverò io in un attimo / Quell’attimo anche mio”.

Sandro Puliani

(Continua)

 

 

 

04/02/2024