Pierangelo Bertoli, un cantastorie che ci piace riascoltare
L’ambiente
Con l’album Eppure soffia, con il quale esordisce discograficamente, Bertoli si affaccia alle problematiche ambientali. In questo è uno dei precursori. Siamo sempre negli anni in cui la classe operaia spera ancora di andare in paradiso. Dirà che la sua casa era situata tra due capannoni di una fabbrica e l’inquinamento l’ha toccato con mano e, soprattutto, respirato. Chi meglio di lui poteva parlare di questi problemi? Al centro, però, c’è sempre l’uomo, e la preoccupazione più grande di Bertoli è rendersi conto che questi non è più capace di apprezzare e gustare la bellezza in cui vive e la guasta perché non sa cosa farsene di ciò che è semplice, come possono esserlo i fiori. E invita a non strapparli, perché, ripassando, possa trovarli ancora e godere della loro bellezza.
Ma non facciamoci ingannare, perché, nell’ottica di Bertoli, al centro c’è sempre la vita dell’uomo. Questo connubio “uomo/natura”, l’ha cantato anche nella canzone Festa, del 1974, dove per cinque volte usa l’espressione: “Tra il sole dei campi ritrovo me stesso”. Alla fine, però, è sempre e solo in un abbraccio di popolo che ritrova le ragioni più profonde e più vere del suo esistere: “Qui fra la mia gente / Ritrovo me stesso”.
Gli esclusi
Gli esclusi, per Bertoli, sono coloro che non sono padroni del proprio lavoro (gli operai) fino ai disabili, come lui, che non possono accedere a certi servizi e sono presenti, nelle sue canzoni, anche se non li ha descritti con la forza e con la cura dei dettagli di un De Andrè.
Bertoli ama quelli apparentemente senza voce e rassegnati, che trovano, però, la forza di uscire da se stessi e cominciano una nuova avventura con gli altri, come nella canzone L’autobus dove a tutti quelli che salgono, piano piano, viene voglia di parlare e mettersi insieme per chiedere giustizia. E allora, improvvisamente, il canto si apre alla speranza: “L’autobus ora è vita / Il sole è entusiasmante / Che bel mattino è questo / Domani sarà raggiante”.
Nel comunicato stampa per l’uscita dell’album Eppure soffia, Bertoli così scrisse:
“Le mie canzoni sono la descrizione della vita che mi sta intorno fatta di azioni, di impressioni, di sentimenti, di gioie, di noie, di paura e di coraggio: le cose che ‘sono state incise sulla pelle’ fin da bambino. Le donne sbagliate, la donna che amo, i fatti che odio, le persone che hanno vissuto una guerra quando io non c’ero, le stupidaggini che ti insegnano a crescere, la voglia di fare qualcosa nel cambiare, la volontà di dire ciò che penso, gli amici, le tristezze dell’obbligo, il bisogno di libertà da regalare a chi ne ha bisogno”.
Cantare ancora
Per tutto quello che ci ha lasciato, non possiamo non essere contenti se gente come Marco Dieci (tastiere, armonica e chitarra), Francesco Coccapani (chitarra) e Gigi Cervi (basso), con i quali per un certo periodo si è esibito, ha continuato a farlo conoscere, in concerti e in momenti di revival. Ma, ancor di più, è bello vedere come quel juke-box a gettone, costretto all’angolo di quella sala (come cantava nella canzone Ballata all’ultimo nato del 1977), sia presente ancora oggi, nel figlio Alberto: anche lui, nel suo bravo cantone, “come suo padre juke-box a gettone”, con la chitarra in mano lo porta in giro, ancora, sui palcoscenici dove si ha sempre voglia di ascoltare la sua musica e rivivere l’autenticità dei suoi messaggi. E tutto, “Con un piede nel passato / E lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.
Intervista a Marco Dieci
- Carissimo Marco, tu hai suonato con Pierangelo Bertoli e hai composto insieme con lui qualche sua canzone. Cosa ti ha colpito di più del personaggio “Bertoli”?
Diciamo, in un gioco di parole, la personalità, la forza, il carisma che gli derivava, come lui stesso raccontava, dalla sua situazione. Non si può prescindere, parlando di Angelo, dalla sua condizione fisica che gli ha imposto un modo di vita e delle scelte. Quando gli dissero che forse potevano aiutarlo a stare meglio, andò all’ospedale, ma poi si stancò e disse: “Basta. Vado bene così. Agli amici vado bene così. Voglio fare il cantautore”. E così ha preso il coraggio a due mani e ha iniziato la carriera musicale.
In pratica, la forza e la volontà che trapelavano in tutto quello che faceva. Lui credeva in certi valori e voleva anche convincere gli altri. Lui chiamava le cose per nome e dava giudizi senza mezze misure. Questo mi ha sempre colpito di Angelo.
- Qual è il brano di Bertoli che più ti è piaciuto, non solo per quello che significa per te, ma anche quello che hai suonato più volentieri con lui?
La cosa immediata e forse quella più scontata mi fa dire: Eppure soffia. Perché concordo con Angelo nel dire che, tra tutte, è quella meglio riuscita. Il connubio testo e musica è perfetto.
A me piaceva moltissimo un mio pezzo, che scrissi tanti anni fa, che si chiama: Racconta una storia d’amore (1976), perché mi era piaciuto molto scrivere la musica di quella canzone. Il testo dice: “Canta alla luna, canta pure d’amore, intanto qui la gente sta senza lavoro”, adattabilissimo anche a tempi più recenti. Stando nell’ambito delle mie, sceglierei Alete e al ragasòl (Alete e il bambino). E tra quelle di Angelo, Sera di Gallipoli, veramente bella. Ma è difficile trovarne una brutta nel suo repertorio.
- Quale tematica pensi sia riuscito a esprimere meglio con le sue canzoni?
Non c’è una tematica particolare, ma è stato importante per quello che ha significato. Non puoi dire: Angelo l’ho apprezzato solo per queste sue idee caparbiamente di sinistra, sempre piene di speranza e di positività, nonostante tutto. Nella canzone L’autobus, infatti, la positività è assoluta, perché il solo parlare tra loro dei passeggeri, fino allora silenziosi, gli fa dire che tutto è cambiato e che il domani sarà ancora migliore.
Lui ha cantato, generalmente, la vita degli operai, dei poveri, degli esclusi.
- Quali iniziative portate avanti per ricordarlo?
Dopo pochi mesi dalla morte di Angelo, nel 2002, abbiamo creato il “Circolo Culturale Pierangelo Bertoli”, di cui io sono stato presidente fino a quando è esistito. Il Circolo si proponeva di continuare a far girare i pezzi di Angelo con iniziative annuali che facevamo solitamente al Teatro Carani, in cui chiamavamo degli ospiti illustri, da Fabio Concato ai Tazenda, ai quali facevamo cantare dei brani di Angelo, accompagnati da noi che siamo il gruppo storico che si è esibito con lui. Poi il Circolo si è estinto, dopo una dozzina d’anni, perché Alberto, il figlio di Angelo, che aveva imparato bene a suonare e cantare, si è preso l’impegno di portare in giro lui i brani del padre. E allora ci siamo fatti da parte, anche se spesso Alberto ci chiama a partecipare a quelle serate.
Infine c’è anche una cosa importante che è il “Premio Bertoli”, un concorso per giovani cantautori, di cui io sono il direttore musicale, che è giunto alla sua decima edizione. I concorrenti, oltre a presentare un loro brano, devono eseguire anche una canzone di Bertoli.
(A cura di Sandro Puliani)
11/02/2024