La visione antropologica di Edith Stein

 

Il 9 agosto 1942, moriva Edith Stein (in religione Teresa Benedetta della Croce), religiosa e filosofa tedesca dell’Ordine delle Carmelitane Scalze. Convertitasi al cattolicesimo dall’ebraismo, venne arrestata dai nazisti e rinchiusa nel campo di concentramento di Auschwitz, dove trovò la morte. Nel 1998, Papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata santa e l’anno successivo l’ha dichiarata compatrona d’Europa. A quasi ottant’anni dal suo martirio, proponiamo questo articolo di Maurizio Fomini, apparso nella “Rivista di Vita Spirituale” n. 59 (2005).

 

 

1. Introduzione

Edith Stein[1] ha partecipato attivamente al dibattito sulla condizione femminile tra il 1928 e il 1932. Le conferenze a carattere divulgativo da lei tenute in quel periodo in Germania e un testo, Problemi dell’educazione della donna, più elaborato in vista di una pubblicazione, avvenuta poi solo in parte, costituiscono il volume da cui si può trarre la sua visione antropologica[2]. Tralasciamo la descrizione della vicissitudine personale di Edith Stein che meriterebbe, per la sua doppia identità di donna ed ebrea, un capitolo a parte[3].

2. Donna ed uomo: differenza nell’unità

Fin dalla sua dissertazione di laurea su Il problema dell’empatia[4], Edith Stein aveva affrontato un argomento che sarà centrale per la scuola fenomenologica: quello dell’alterità[5]. Muovendo dall’analisi degli atti che caratterizzano l’essere umano, aveva analizzato quei fenomeni che ci si presentano come atti specifici della psiche e dello spirito e aveva colto attraverso tale indagine l’essenza di quegli atti, giungendo alla conclusione che l’essere umano è costituito da corporeità, psichicità e spirito.

Tenendo presenti queste brevi indicazioni si possono comprendere alcuni punti centrali della sua visione che si può definire un’antropologia “duale”, in quanto ella ritiene che: “la specie uomo” – meglio si potrebbe tradurre la parola tedesca mensch con essere umano – “si articoli in due specie: specie virile - specie muliebre, e che l’essenza dell’uomo, alla quale nell’un caso e nell’altro nessun tratto può mancare, giunga in due modi diversi ad esprimere se stessa, e che solo l’intera struttura dell’essenza renda evidente l’impronta specifica”[6].

Accanto all’unità sostanziale dell’essere umano femminile e maschile è sostenuta anche la sua differenza specifica. Infatti la donna e l’uomo in quanto esseri umani sono anche diversi, nel senso che “non solo il corpo è strutturato in modo diverso, né sono differenti solo alcune funzioni fisiologiche particolari, ma tutta la vita del corpo è diversa, il rapporto dell’anima col corpo è differente, e nell’anima stessa è diverso il rapporto dello spirito alla sensibilità, come rapporto delle potenze spirituali tra loro”[7].

Diviene, allora, di centrale importanza stabilire in che cosa consista tale differenza, per indagare in quale modo la vita dell’uno e dell’altra si debba svolgere e quindi per intervenire dal punto di vista pedagogico.

Per la Stein la distinzione sta in questo:

“La specie femminile dice unità, chiusura dell’intera personalità corporeo-spirituale, sviluppo armonico delle potenze; la specie virile dice elevazione di singole energie alle loro prestazioni più intense”[8].

Ella si basa su questa differenza per indicare sia il destino della donna che quello dell’uomo, esprimendo la necessità di ripensare il significato del femminile in relazione al maschile, per individuare un rapporto equilibrato fra i due.

L’analisi compiuta dalla nostra autrice si snoda attraverso la ricerca dei caratteri distintivi che coinvolgono la sfera conoscitiva, quella affettiva e i rapporti intersoggettivi. La donna intuisce il concreto, il vivente e il personale, ha una particolare sensibilità per conoscere ogni oggetto nel suo valore specifico; fa propria la vita spirituale altrui e desidera portare alla massima perfezione l’umanità nelle sue espressioni specifiche attraverso un amore pronto a servire; tende ad attuare uno sviluppo armonico di tutte le sue energie.

L’uomo ha l’impulso di conoscere, di impossessarsi dell’oggetto conosciuto per poterne godere e per plasmarlo secondo i suoi desideri. Ognuna di queste attività, però, lo coinvolge così fortemente che non può portarle ad armonia; se ne coltiva una, tralascia le altre proprio perché tende ad un forte dispiegamento di alcune energie.

Uno dei testi più interessanti di E. Stein verte sul tema della Vocazione dell’uomo e della donna. Ella sostiene che il termine beruf, che nella lingua tedesca corrente significa “professione”, deve essere ricondotto alla sua etimologia che lo lega alla “chiamata” – berufen, infatti, vuol dire “essere chiamati” –. La chiamata, sostiene la Stein, non è solo di ordine sociale, ma soprattutto di carattere religioso, infatti, “chi chiama è, in fondo, Dio stesso”[9].

La chiamata è già impressa nella natura umana e può essere messa in evidenza attraverso una riflessione filosofica e attraverso un esame attento della storia.

Qui si pone la questione della finalità della vita umana nel contesto sociale, ma ancora più in profondità la visione globale che coinvolge il destino ultimo. Tutto ciò non può essere affidato al caso, è necessario un impegno comunitario di sostegno che si deve esercitare soprattutto nei confronti dei più giovani. Si chiede, allora, quali siano i mezzi educativi che rendono possibile una consapevolezza individuale e una collaborazione reciproca, perché nessuno può vivere isolatamente ed è pertanto necessario stabilire equilibrati rapporti interpersonali, in particolare fra i due sessi che sembrano essere perennemente in conflitto.

Si giustifica in tal modo la molteplicità dei metodi di approccio alla questione femminile e maschile usati dalla Stein e da lei indicati nei Problemi dell’educazione femminile[10].

L’indagine fenomenologica le aveva consentito di elaborare una classificazione estremamente utile per cogliere la singolarità senza perdere di vista l’universalità. Infatti, se le indicazioni teo­retiche sono indispensabili per orientarsi sulla duplicità delle specie umana, se la psicologia ci aiuta a scoprire gli impulsi e le tendenze dell’essere umano, maschio e femmina, esistono le tipo­logie che ci consentono di avvicinarsi al particolare. Infatti, per Edith Stein esiste soprattutto il singolo essere umano, come appare dal testo seguente:

“La specie, virile e muliebre, si esprime negli individui in modo diverso. Anzitutto essi sono realizzazioni più o meno perfette della specie; poi essi esprimono con più forza i tratti dell’una o dell’altra. L’uomo e la donna hanno gli stessi tratti fondamentali umani nella loro essenza, e alcuni di questi prevalgono non solo nei sessi, ma anche negli individui di questo o quel sesso. Perciò alcune donne possono presentare una forte approssimazione alla specie virile, e viceversa. Il che può essere connesso con la missione individuale. Certo, per tutto il sesso femminile, il matrimonio e la maternità sono il primo compito, ma non lo sono per ogni individuo particolare”[11].

In tal modo si giustifica che “vi possono essere donne chiamate a particolari opere culturali, e a queste sono consone le loro doti”[12], ma anche la chiamata alla verginità, allo stato religioso – che la Stein ha sentito potentemente fino al punto di entrare nel Carmelo di Colonia –, esprime una particolare predisposizione tesa non ad eliminare l’attenzione verso ciò che è personale, la cura degli altri o anche la dimensione affettiva, anzi quella dell’eros, ma a rivolgerla verso la divinità “che compenetra tutta la vita”[13].

Se è fondamentale la descrizione della natura umana, ciò non significa che la cultura non possa esserne una componente importante. Si risponde in tal modo a chi come Simone de Beauvoir negava la differenza fra i generi, perché la riteneva fonte di discriminazione, e attribuiva le diversità solo alle stratificazioni culturali. Gli esseri umani, pur nelle loro differenze, sono invece per la Stein persone che hanno tutte una uguale dignità. Certamente non sono sempre rispettati e non si rispettano essi stessi perché non giungono a riconoscere la propria dignità. Questo può accadere per motivi culturali. Perciò, sostiene la filosofa, è urgente intervenire sulla formazione della mentalità e sull’educazione delle giovani generazioni per contribuire a migliorare la convivenza umana, distinguendo ciò che è essenziale da ciò che è legato alle circostanze.

Si introduce qui, in ultima analisi, il problema del male ed è a questo proposito che la tradizione ebraico-cristiana dà un contributo determinante per la comprensione dell’origine della dualità umana e anche del conflitto fra uomo e donna. Qui la questione teologica diventa decisiva.

3. Ad immagine e somiglianza di Dio

Nella riflessione teologica della Stein due punti dell’Antico Testamento sono centrali per l’impostazione del tema antropologico: i racconti della creazione dell’uomo e della donna contenuti in Genesi 1 e 2 e quello del peccato originale in Genesi 3. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, significative sono le lettere di Paolo ai Corinzi, agli Efesini e a Timoteo.

Questi sono i testi ai quali si interessa E. Stein e intorno ai quali ruota non solo l’interpretazione più recente riguardo alla distinzione dei ruoli del maschile e del femminile, ma anche, quella del passato.

Nella conferenza Vocazione dell’uomo e della donna ella commenta in primo luogo il brano di Genesi 1, 26-28, in cui si dice che Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza: “Già nella prima narrazione della creazione dell’uomo si parla subito della differenza in maschio e femmina”[14]. Il triplice compito che ad essi è assegnato, essere immagine di Dio, procreare una posterità e dominare la terra, non è affidato specificamente all’uno o all’altra, ma che ci sia una diversità “lo si può considerare eminentemente enunciato dalla stessa distinzione in sessi”[15].

Nel secondo racconto sulla nascita dell’uomo e della donna, E. Stein si sofferma sul fatto che nel mondo animale Adamo non aveva trovato “un aiuto che corrispondesse a lui”. Ella osserva che l’espressione ebraica esér kenegedò è difficilmente traducibile in tedesco e propone di intenderla come: “Un aiuto a lui dirimpetto” e aggiunge:

“Si può dunque pensare ad una immagine speculare in cui l’uomo possa vedere la sua propria natura (...); si può pensare anche ad un completamento, a un pendant, in cui le due parti si corrispondano; tuttavia non in senso pieno, ma in modo che si completino a vicenda come una mano rispetto all’altra”[16].

Il Signore trasse la donna dalla costola di Adamo perché la riconoscesse come carne della sua carne e i due, infatti, saranno una sola carne. Detto per inciso, rimane tuttavia problematico, anche per le scienze teologiche attuali, l’aspetto del “primato” attribuito ad Adamo che può alludere ad una subalternità della donna rispetto all’uomo.

Ritornando alla Stein, ella giustifica la duplicità dell’essere umano in maschio e femmina facendo, infine, riferimento alla unità e trinità di Dio e alla sua connotazione essenziale: l’amore.

“Ma Dio è uno e trino: come dal Padre procede il Figlio, e dal Figlio e dal Padre lo Spirito, così la donna è uscita dall’uomo, e da ambedue discendono i posteri. E ancora: Dio è amore. Ma fra meno che due non vi può essere amore”[17].

Che la vita della prima comunità umana fosse caratterizzata dall’amore è confermato dal fatto che qui non si parla di dominio dell’uomo sulla donna ma di compagnia e di aiuto reciproco in armonia di intenti. Si può notare che complementarità e reciprocità sono messi in evidenza dalla Stein senza che ci sia conflitto fra i due momenti. Ci si può domandare anche quanto questa impostazione risenta di una struttura di pensiero di tipo patriarcale.

Il peccato per la Stein offusca l’armonia della vita comunitaria, anzi inficia la parità, stabilisce il dominio dell’uno sull’altra. Ma in che cosa consiste il peccato? Ella non crede che si tratti semplicemente di un atto di orgoglio; crede al contrario che sia implicata proprio la sfera sessuale – “un tipo di unione reciproca che contraddiceva all’ordine originario”[18] che ha uno stretto rapporto con la generazione della prole. Eva è sensibile a questo e la pena per lei stabilita è legata, infatti alla difficoltà della generazione.

La colpevolezza non è, però, da attribuire solo alla donna. Dio rimprovera anche Adamo perché invece di assumersi la responsabilità dell’atto di disobbedienza ne fa carico solo alla sua compagna. La frase che Dio pronuncia nel giudizio di condanna del serpente è per E. Stein particolarmente importante. La donna con la quale Egli pone l’inimicizia del serpente, non è solo Maria, ma già la prima donna come Madre di tutti i viventi. A tutte le donne, allora, è affidato come compito la lotta contro il male e la collaborazione nella Redenzione.

La centralità del femminile per la salvezza è ribadita da Edith Stein quando afferma che Dio l’abbia affidata a tutte le donne e che Eva se ne renda conto quando riconosce che: “Dio mi ha dato un figlio”[19].

D’altra parte la salvezza entra potentemente nella storia attraverso Maria che genera il Figlio di Dio. Una donna ha dato la sua collaborazione per la fondazione del Regno di Dio e la Redenzione ci è giunta per mezzo del nuovo Adamo.

L’ordine della Redenzione tende alla restaurazione dell’equilibrio originario fra uomo e donna, ma nonostante la Redenzione è difficile superare il conflitto e comprendere questa verità.

Questa difficoltà si nota da alcune particolarità messe a fuoco in un commento a san Paolo quando questi afferma: “La donna impari in silenzio con piena soggezione”. E. Stein risponde con una spregiudicatezza che meraviglierebbe, se non fosse dettata da un amore sofferto per la verità: “Si ha qui l’impressione che nell’Apostolo parli il giudeo formato allo spirito della legge. Sembra completamente dimenticata la concezione evangelica della comunità”[20]. E lo mette in contraddizione prima col messaggio di Gesù e poi con se stesso che altrove dice: “Non vi è più né giudeo né greco, né schiavo né libero; non vi è più né uomo né donna. Tutti infatti siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 4ss.).

Si è parlato finora di complementarietà e di aiuto reciproco fra i sessi; ciò non deve, però, far credere che non sia possibile uno sviluppo autonomo di ogni persona umana; proprio perché c’è un’essenza della donna e dell’uomo, ognuno può svilupparla in modo personale anche al di fuori di un legame matrimoniale. Si giustifica in tal modo la vita consacrata, alla quale E. Stein si è dedicata, ma sulla quale ha anche riflettuto soprattutto in relazione al crescente impegno della donna in compiti ecclesiastici, nonostante le difficoltà che ella riconosceva presenti nel suo tempo.

Non minore indipendenza di giudizio dimostra nei riguardi del Diritto ecclesiastico sulla questione del sacerdozio della donna.

“Nel diritto ecclesiastico odierno – rileva – non si può parlare di eguaglianza tra la donna e l’uomo poiché la donna è esclusa da tutti gli uffici sacri della Chiesa. Come provato da V. Borsinger nella sua dissertazione sulla posizione giuridica della donna nella Chiesa, la situazione attuale rappresenta un regresso rispetto ai primi tempi della Chiesa, in cui le donne ricoprivano funzioni d’ufficio come diaconesse consacrate. Il fatto che ora ha avuto luogo una graduale trasformazione mostra la possibilità di una trasformazione in senso opposto (...). Questo regresso della donna nella Chiesa è avvenuto – continua – sotto l’influsso di concezioni del Vecchio Testamento e del diritto romano. Negli ultimi tempi constatiamo un cambiamento dovuto alla grande richiesta di forze femminili per il lavoro caritativo e di assistenza spirituale (...). La questione è se ciò possa poi costituire il primo passo verso il sacerdozio femminile. Dal punto di vista del dogma non mi sembra vi debbano essere ostacoli che possano impedire alla Chiesa di compiere un tale, finora inaudito, rinnovamento”[21].

Certamente Gesù ha fatto distinzione fra uomo e donna, ad esempio ha dato il sacerdozio ai suoi apostoli. Per questo motivo la Stein ritiene che “l’esclusione delle donne dal sacerdozio non sia una semplice prassi del nostro tempo”[22], tuttavia sottolinea che

“Egli manda doni di grazia sia agli uni che alle altre; ciò significa anche una possibilità di collaborazione all’interno della Chiesa attraverso le vocazioni personali. E si deve anche tener presente che, dove si manifesta una vocazione cooperano natura, libertà e grazia perché possa perseverare e non venir meno. Da ciò i particolari problemi e i particolari compiti dell’opera educativa”[23].

4. Conclusione

Quella prodotta da Edith Stein è una delle prime teorizzazioni di un’antropologia duale fondata, come si è indicato sopra, sia filosoficamente che teologicamente in modo adeguato. Ella ci insegna che non è più possibile nel nostro tempo prescindere dalla unità-distinzione dell’essere umano e ciò comporta anche conseguenze importanti sotto il profilo etico.

In sintesi, la donna è una realtà ontologica pari e distinta da quella maschile. Realtà che la donna, sull’esempio della Stein, deve esplorare da sé, più compiutamente di quanto possa avvenire se lo stesso percorso è operato al maschile. Inoltre, proprio la categoria di coscienza nel suo passaggio dall’accezione fenomenologica a quella cristiana si precisa in quanto coscienza femminile come fondamento di un nuovo modo di far pedagogia, filosofia e di un nuovo impegno religioso e civile.

Ovviamente non tutto ciò che l’autrice esprime è condivisibile. Alcune affermazioni ci sembrano estremamente innovatrici, come ad esempio la fondamentale uguaglianza attribuita alla donna nei confronti dell’uomo, il posto centrale che essa occupa nell’opera della Redenzione, o la domanda posta sulla questione del sacerdozio femminile. Altre ci sembrano ricadere in modelli culturali tradizionali, come ad esempio il sotterraneo permanere di una mistica della femminilità veicolata dalla polarità virgomater. Sembrerebbe che sia la maternità a disegnare lo statuto e il compito della donna. In tal caso questa visione risulterebbe riduttiva per la donna stessa e indubbiamente mutuata da un quadro storico-culturale ove l’essere donna è fortemente predeterminato da giochi di forza, di potere, di subalternità, di funzionalità, di pregiudizi, cristallizzatisi in strutture di pensiero patriarcali non ancora sufficientemente epurate dalla loro carica discriminatrice.

Per concludere, condividiamo la tesi di fondo espressa da C. Militello in un suo noto libro:

“La nostra tesi è che le donne nella storia e nella Chiesa ci sono sempre state, significativamente. Occorre solo trarle dal silenzio e restituirle alla memoria”[24].

Crediamo che Edith Stein, al di là di qualche opacità, rappresenti un tassello importante di questa memoria, comune a tutta l’umanità. Ripercorrendo alcuni aspetti del suo pensiero antropologico siamo divenuti più coscienti che se una profezia si addice alle donne, questa è quella relativa alla reciprocità uomo-donna, reciprocità logica, reciprocità corporea, reciprocità umana, reciprocità interpersonale. Essa implica il superamento della conflittualità relazionale. Il rapporto maschio-femmina è la sfida nodale e irrinunciabile nell’attuale transizione culturale. Proprio la sua risoluzione, nella diversità riconciliata sottesa alla reciproca alterità, può costituirci paradigma progettuale antropologico, socio-politico ed ecclesiale. Lo esige la post-modernità, lo esige lo scenario complesso della mutazione in atto. La reciprocità, la diversità nella mutua alterità tocca alla fin fine uomini e donne, razze e culture, il nostro pianeta e il cosmo per disegnare scenari diversi e migliori. Oggi, ancor più di ieri, la questione femminile e la fatica delle donne diventano “profezia di un dover essere, di un mondo e di una Chiesa riconciliati in cui nessuno è più contrapposto all’altro nella limitatezza escludente di un ruolo, ma la differenza, ogni differenza che inerisce alla costitutiva e comune identità, è reciprocamente ricchezza e dono”[25].

Ci sembra importante, per finire, sottolineare un merito inequivocabile della Stein. Ella aveva in un certo qual senso profetizzato che il Magistero ecclesiastico prendesse posizione nei confronti della questione femminile, sulla vocazione della donna. La sua speranza è stata in parte realizzata: il Pontefice Giovanni Paolo II con l’enciclica Mulieris dignitatem ha risposto all’appello della pensatrice, forse anche al di là delle sue aspettative[26].

“L’’ordine nuovo’ incomincia
se qualcuno si sforza

di diventare un ‘uomo nuovo’”

(D. Primo Mazzolari)

Maurizio Fomini

 

 

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[1] La figura di Edith Stein è quanto mai conosciuta. Per una documentata biografia rimandiamo agli studi di F.J. Sancho Fermin, Edith Stein modelo de mujer cristiana, Ed. Monte Carmelo, Burgos 1998; F.J. Sancho Fermin, Edith Stein. Pensamiento y paisaje, Ed. Monte Carmelo, Burgos 1999.

[2] E. Stein, Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Genade, Werke V, Herder, Louvain-Freiburg i Br. 1959; (tr. it. La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia. A cura di O. Nobile, Città Nuova, Roma 1987). In questo lavoro faremo uso della traduzione italiana che citeremo d’ora in poi con: La donna.

[3] Non si può dire che la Stein abbia fatto una brillante carriera accademica. Contrariamente alle sue indubbie ed eminenti doti di un’acuta intelligenza speculativa e pur essendo stata assistente di Husserl a Friburgo, ha pagato il fatto di essere donna ed ebrea, anche se convertita al cattolicesimo, con l’esclusione dalla docenza universitaria in una Germania ormai in preda delle leggi razziali ed avviata decisamente verso la tragedia storica costituita dall’avvento del nazismo.

[4] E. Stein, Zum Problem der Einfühlung (Dissertation), Kaffke, München 1985.

[5] In questo lavoro faremo ampio uso sia dell’intervento tenuto da A. Ales Bello al Simposio Internazionale su Edith Stein del 7-9 ottobre 1998, dal titolo: Uomo e donna li creò: filosofia e teologia della femminilità in Edith Stein, in Aa.Vv., Edith Stein. Testimone per oggi Profeta per domani, Teresianum, Roma 1998, 49-59; come anche dello studio di A. Branca-Forte, Femminilità e impegno filosofico: il contributo di E. Stein, in Aa.Vv., Donne in filosofia. A cura di G. A. Roggerone, Lacaita Editore, Mandria-Bari-Roma, 1990, 87-111. Di grande aiuto ci sono state anche le letture degli articoli A. Ales Bello, Mistica e femminilità nell’opera di Edith Stein, in “Rivista di Ascetica e Mistica” 62 (1993) 47-55 e H.B. Gerl-Falkovitz, Edith Stein e la donna, in “Humanitas” 42 (1987) 332-354; C. Militello, Dalla filosofia al chiostro: Edith Stein (1891-1942), in C. Militello, Il volto femminile della storia, Piemme, Casale Monferrato 1995, 348-358.

[6] E. Stein, La donna, 204.

[7] E. Stein, La donna, 204.

[8] E. Stein, La donna, 204.

[9] E. Stein, La donna, 68.

[10] Si tratta in particolare del metodo delle scienze naturali (psicologia speciale degli elementi), del metodo della Scienza dell’anima (psicologia individuale speciale), del metodo filosofico e del metodo teologico.

[11] E. Stein, La donna, 205-206.

[12] E. Stein, La donna, 206.

[13] E. Stein, La donna, 206.

[14] E. Stein, La donna, 69.

[15] E. Stein, La donna, 69.

[16] E. Stein, La donna, 70.

[17] E. Stein, La donna, 70-71.

[18] E. Stein, La donna, 73.

[19] E. Stein, La donna, 74.

[20] E. Stein, La donna, 74.

[21] E. Stein, La donna, 97-98.

[22] E. Stein, La donna, 170.

[23] E. Stein, La donna, 170.

[24] C. Militello, Il volto femminile della storia, Piemme, Casale Monferrato 1995, 417.

[25] C. Militello, Il volto femminile della storia…, 420.

[26] Giovanni Paolo ii, La dignità della donna - Scritti di Giovanni Paolo Il sulla questione femminile. A cura di M.M. Nicolais, Editrice Esperienze, Fossano 1998.

 

 

16/06/2021