Maria Maddalena, figura della Chiesa in missione

 

La Lettera Enciclica di san Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, circa la permanente validità del mandato missionario, richiama all’esigenza di una specifica spiritualità missionaria che riguarda, in particolare, quanti Dio ha chiamato ad essere missionari[1].

Nota essenziale della spiritualità missionaria è la comunione intima con Cristo: non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l’inviato ad evangelizzare[2].

Più la comunione è intima, più è efficace la missione. Essa raggiungerà il suo vertice laddove al mondo si fa presente la vera immagine di Gesù che è il Santo.

In ogni santo il mistero del Signore si rende particolarmente visibile, affinché i cristiani possano, attraverso la parola che è la sua vita, entrare nel mistero e vivere essi stessi, in una personale partecipazione al mistero, la loro salvezza. È la presenza della santità che dà la possibilità alla parola della Chiesa di essere autentica ed efficace. La fede non è soltanto adesione a delle verità concettuali, è la stessa vita divina che si comunica al mondo. Ma si comunica attraverso la paternità dei santi. Dio ha assicurato alla Chiesa l’infallibilità del Magistero, ma non ha assicurato l’efficacia della parola. La parola è efficace quando è verace ed è verace quando non è soltanto una parola nuda, ma è testimonianza di una esperienza, di una realtà che si è percepita, che si è imposta al nostro spirito.

Maestri perché testimoni

La riprova della veracità del Vangelo, la sua interpretazione più autentica è la vita dei santi.

Per questo san Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Christifideles laici, ricorda che “la santità deve dirsi un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per il compiersi della missione di salvezza nella Chiesa”[3]. Se ne deduce che la chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità ed il vero

missionario è il santo[4].

Già san Paolo VI ammoniva, nella Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, che

“l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni. ... È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità”[5].

È la dinamica stessa della missione che domanda la santità come conditio sine qua non della sua efficacia.

“Chi vuole annunciare deve essere egli stesso un annuncio”[6].

Chi è la Chiesa

La teologia attuale ripropone il tema della Chiesa locale come problema del chi è la Chiesa (non del che cosa è la Chiesa)[7].

Sono le due domande che si poneva von Balthasar: “Dove è allora questa columba immaculata?”[8] e “quale Chiesa, chi nella Chiesa può aiutarmi?”[9].

Infatti chi riceve l’annunzio evangelico ha bisogno d’un modello storico di riferimento che gli indichi in concreto cosa la Parola voglia dire e quale trasformazione operi. Chi parla ed annunzia si pone storicamente anche come termine ad quem del cammino della Parola. All’uomo che si incontra non solo si annunzia la via, ma storicamente ci si pone anche come via. Non si parla solamente di un Altro, non si indica solamente un Altro. Ma parlando ed indicando un Altro si vive il tormento di una povertà che nell’Amore diventa Altro e che nel momento stesso in cui annunzia diventa e così si pone come modello storico da imitare. All’uomo che s’incontra va indicata una meta nel cammino, un termine d’attrazione che polarizza lo sguardo. Il messaggio non è una teoria, ma un volto concreto, l’icona della presenza di Dio. O si è questa icona vivente oppure ogni discorso diventa parola di Dio in senso di genitivo oggettivo (parola circa Dio) e non parola di Dio, nel senso di genitivo soggettivo (parola che appartiene a Dio)[10]. Perciò solo l’icona vivente di Dio può annunziare con efficacia la parola[11].

San Giovanni Paolo II insiste sul fatto che “non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo ‘ardore di santità’ fra i missionari e in tutta la comunità cristiana”[12].

“Di fronte a una situazione religiosa assai diversificata e cangiante ... ed al rivolgimento di situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati”[13], si fa sempre più forte l’esigenza di un nuovo stile cristiano. Di questo stile i santi sono i creatori. Essi indicano alla Chiesa queste nuove possibilità di risposta al grido che il mondo le rivolge, alla domanda di Dio affinché l’uomo si consegni completamente così come si trova di volta in volta nel suo tempo e nella sua situazione. Non esiste un sistema aprioristico della storia in quanto evento libero fra uomini e fra l’uomo e Dio; rimane soltanto la possibilità di una visione posteriore di forme temporali, epoche di un determinato spirito, proprio, inconfondibile[14].

Ora se la nostra vita non è tanto l’adempimento di una norma oggettiva, quanto precisamente la realizzazione di un rapporto, dobbiamo sforzarci di riconoscere il rapporto che hanno vissuto realmente gli uomini con Cristo e soprattutto quelli della sua cerchia, rapporto che si è compiuto ad insegnamento per noi[15].

Von Balthasar intravede nei membri della sua cerchia che costituiscono come una costellazione cristologia[16] quella che chiama esperienza archetipa. E l’esperienza di Dio nella Chiesa sarà la partecipazione imitante di questa

archetipa unità di fede e visione dei testimoni oculari, attraverso il kerygma apostolico ed ecclesiale[17].

Contemplativo in azione

È a partire da un personaggio della costellazione cristologia, Maria Maddalena, che illumineremo l’affermazione di san Giovanni Paolo II che troviamo a conclusione della Redemptoris missio:

“Il missionario deve essere un ‘contemplativo in azione’. ... Se non è un contemplativo non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone dell’esperienza di Dio e deve poter dire come gli apostoli: ‘Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita..., noi lo annunziamo a voi’ (1Gv 1, 1-3)”[18].

È noto che la formula “contemplativo in azione” si deve al Nadal che viene considerato il teologo della spiritualità ignaziana. Nadal, parlando di sant’Ignazio, così si esprime:

“Questa grazia di poter pregare in tutta libertà e di percepire Dio in tutte le cose, affari o conversazioni... nostro Padre l’ha ricevuta come un grande privilegio...; egli vedeva questa presenza ed era ‘simul in actione contemplativus’”[19].

Nadal pensa che la grazia di questa preghiera e di questa contemplazione è deposta in tutti i membri della compagnia e riconosce che essa è legata alla loro vocazione[20].

In proposito, ricordiamo la posizione di san Tommaso. L’Aquinate, dopo aver identificato la vita monastica con la vita contemplativa, proclama la sua assoluta superiorità rispetto ad ogni specie di vita attiva, anche mossa dalla carità. Ne deduce una sua superiorità anche rispetto a una vita semplicemente mista, in cui la contemplazione è presente, ma alternata all’azione. Tuttavia, egli dichiara superiore a tutti questi generi di vita la vita apostolica così come lui la definisce: vale a dire una vita contemplativa nella quale dalla stessa contemplazione nasce un’azione che non è qualsiasi azione, ma quella che consiste nel comunicare agli altri quello che si è contemplato (“contemplata aliis tradere”). Così “contemplare e trasmettere agli altri quello che si è contemplato” sarà l’ideale dei frati predicatori[21].

Secondo il Thils, la formula del Nadal, contemplativus in actione, è preferibile per due ragioni. Da una parte, essa non restringe l’unione del contemplare con l’agire ad un determinato campo dell’operatività del cristiano, a quella cioè dell’azione apostolica, della predicazione; dall’altra, essa esprime meglio la sincronicità delle due attività: “contemplare” e “agire”[22].

Maria Maddalena e le tre donne dei Vangeli

L’identità di Maria Maddalena, così come si rappresenta generalmente, è costituita da elementi complessi che si trovano sparsi qua e là nel Vangelo.

  1. Peccatrice anonima – Luca narra la conversione di una donna, di cui non fa il nome, la quale, durante un banchetto offerto al Signore in Galilea da Simone il Fariseo, entrò nella sala per ungere i piedi del Maestro, asciugarli con la sua copiosa capigliatura e riceverne in cambio la remissione dei peccati[23]. Luca non dà il nome di questa donna. L’episodio, però, si situa immediatamente prima del sommario presente in Lc 8, 1-3 che menziona Maria Maddalena tra le donne che attorniano Gesù. È questo uno degli argomenti che presentano coloro che pensano che si tratti della stessa persona. Il sommario in Lc 8, 1-3 non è presente negli altri Vangeli.
  2. Maria di Betania – C’è poi una Maria, sorella di Marta, che, contrariamente a questa sempre affaccendata nei lavori materiali, si preoccupa unicamente della parola del Maestro ed è da questo lodata per “avere scelto la parte migliore”[24]. È la stessa Maria, sorella di Lazzaro, dolente per la morte del fratello[25], che sparge, in omaggio solenne alla sua morte futura, un prezioso profumo sul capo del Signore nel corso della cena a Betania[26].
    Dobbiamo notare che se in Lc 7, 36-50 è posto in evidenza l’attitudine di amore di questa donna, cui Gesù perdona i suoi peccati, in questo contesto si parla di una anticipazione della morte del Signore.
  3. Maria Maddalena – C’è infine anche una donna che si chiama Maria Maddalena, “liberata da sette demoni”[27], che si mise al servizio del Salvatore, seguendolo fino in Giudea per assistere alla sua morte[28]. La mattina di Pasqua, venuta con le compagne ad imbalsamare il cadavere, trovò il sepolcro vuoto e meritò di essere la prima a vedere il risorto e ad informare gli apostoli[29].

È notorio come i Padri della Chiesa d’Oriente non abbiano considerato Maria Maddalena con gli stessi occhi con cui invece ella è stata valorizzata dai Padri della Chiesa d’Occidente.

Mentre i Padri orientali distinguevano più donne senza confondere la Maddalena né con Maria di Betania né con la peccatrice anonima[30], la tradizione latina da Gregorio Magno[31] identificò i dati evangelici in una sola donna.

Seguendo Papa Gregorio Magno, Beda il Venerabile afferma con vigore che in tutti i casi, incluso in quello della peccatrice del Vangelo di Luca, si tratta di una sola e della stessa donna: Maria Maddalena, chiamata anche Maria, sorella di Lazzaro, prima peccatrice e penitente in Luca, dopo, santa e casta in Giovanni. Esamina anche l’opinione degli esegeti che avrebbero voluto stabilire una distinzione tra queste donne. In opposizione a quel che si costata nell’esegesi greca, in Occidente assistiamo, quindi, a una unificazione progressiva del personaggio e alla sua identificazione con Maria Maddalena. Quel che in Ambrogio non era che una possibilità, in Agostino diventa una certezza: una sola e una stessa donna, Maria, sorella di Lazzaro, è considerata come l’autrice delle scene di unzione narrate dagli Evangelisti. A partire da Gregorio Magno, la cui influenza pare sia stata considerevole su tutta la tradizione posteriore, si stabilisce definitivamente la relazione tra Maria, la peccatrice pentita, e il personaggio di Maria Maddalena che si trova ai piedi della croce e, al mattino della resurrezione, davanti al sepolcro vuoto. Pluralità di personaggi per i Padri greci, unicità per i Padri latini. Certamente s’incontrano, anche nel mondo greco, esegeti che sono del parere che una sola e una stessa donna sia stata l’autrice delle differenti scene di unzione, però questa non sembra essere stata l’opinione dominante e, soprattutto, questa donna non sembra mai essere stata identificata effettivamente con Maria Maddalena[32].

Gregorio Magno, identificando la peccatrice del terzo Vangelo con Maria, sorella di Lazzaro, e con Maria Maddalena, vede in questa donna sempre lo stesso amore che brucia per Gesù. Egli congiunge quest’amore a quello della sposa del Cantico dei Cantici[33].

Se per Saxer, i progressi della critica storica e biblica inclinano gli esegeti contemporanei alla distinzione delle tre donne[34], più recentemente André Feuillet, riaprendo la questione, s’è allineato nella difesa della tesi dell’identificazione[35].

Al di là della questione esegetica, resta il fatto, come già notava il padre Lagrange, che tutti i predicatori, anche quando pensavano differentemente come esegeti, non hanno cessato di supporre l’unità. E sono essi che hanno prevalso. Ci troviamo, nota sempre il padre Lagrange, di fronte ad uno di quei casi dove l’istinto popolare ha trionfato sulle precisioni dei saggi[36].

Il padre Lacordaire, uno dei più grandi predicatori del secolo XIX, così sintetizzava la questione:

“È così che è affermato dalla tradizione, dalla liturgia della Chiesa, dai monumenti i più antichi elevati alla memoria di Maria Maddalena. Il loro linguaggio ci mostra nell’unità della stessa gloria la peccatrice che piange ai piedi di Gesù e li asciuga coi suoi capelli, la sorella di Lazzaro che assiste alla resurrezione di suo fratello, l’amica fedele che immobile assiste alla passione e alla morte del suo diletto, che lo segue alla tomba, e merita di vedere la prima gli splendori della sua risurrezione. Ogni divisione di questa gloria è chimerica, contraria alla Scrittura, alle memorie dei secoli, alla pietà dei santi, a quel culto universale che ci mette dappertutto sotto gli occhi e nell’anima l’immagine di una sola donna, nella quale si compiono i più toccanti misteri della penitenza e dell’amicizia”[37].

In un sermone medioevale sulla Maddalena troviamo che, nel commento di Saxer, come la Sposa del Cantico, la Chiesa, nella persona della Maddalena, parte alla ricerca del Cristo. Se ella lo ritrova resuscitato, è in un atto di fede. Ben più: da ciò che ha ritrovato nasce una nuova generazione di fedeli, di modo che al suo seguito il Cristo non vuole soltanto portare in Paradiso Maria, la Nuova Eva, ma egli riapre le porte alla prima Eva[38].

Per Daniélou, nella tradizione primitiva la tipologia di Eva come figura di Maria è in concorrenza con un’altra interpretazione che vi vede una figura della Maddalena. Come una donna aveva avuto l’iniziativa della disobbedienza e aveva portato Adamo al peccato, così è una donna che sarà l’iniziatrice della fede e sarà l’apostolo degli altri[39].

Maria Maddalena è, per Agostino, figura della Chiesa venuta dalle nazioni pagane; per Ippolito di Roma, che è all’origine di una lunga tradizione patristica, è figura della Chiesa proveniente dalla Sinagoga; per Cirillo di Alessandria, è figura della Chiesa dei catecumeni, che non possono toccare Cristo, privati come sono ancora dello Spirito Santo. Maria Maddalena è anche per i Padri la nuova Eva. Con l’una, la morte e l’afflizione sono entrati nel mondo, con l’altra, la vita e la gioia attraverso l’annuncio della risurrezione[40].

Emilio Grasso

(Continua)

 

 

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[1] Cfr. Redemptoris missio, 87.

[2] Cfr. Redemptoris missio, 88.

[3] Christifideles laici, 17.

[4] Cfr. Redemptoris missio, 90.

[5] Evangelii nuntiandi, 41.

[6] Fonction de la femme dans l’évangélisation (19 novembre 1975). Document de la Commission pastorale de la Congrégation pour l’Évangélisation des Peuples, in “La Documentation Catholique” 73 (1976) 613.

[7] Cfr. H.U. von Balthasar, Sponsa Verbi. Saggi Teologici, II, Morcelliana, Brescia 1969, 139-187. Per un’analisi esaustiva del tema, cfr. A. Scola, Chi è la Chiesa? Una chiave antropologica e sacramentale per l’ecclesiologia, Queriniana, Brescia 2007.

[8] H.U. von Balthasar, Il complesso antiromano. Come integrare il papato nella Chiesa universale, Queriniana, Brescia 1974, 179.

[9] H.U. von Balthasar, Punti fermi, Rusconi, Milano 1972, 179.

[10] Cfr. D. Grasso, L’annuncio della salvezza. Teologia della predicazione, D’Auria, Napoli 1965, 63-67.

[11] Cfr. E. Grasso, Fondamenti di una spiritualità missionaria. Secondo le opere di Don Divo Barsotti, Università Gregoriana Editrice (Documenta Missionalia 20), Roma 1986, 102.

[12] Redemptoris missio, 90.

[13] Redemptoris missio, 32.

[14] Cfr. J. Splett, Santi (storia dei), in Sacramentum Mundi. A cura di K. Rahner, VII, Morcelliana, Brescia 1977, 354-355.

[15] Cfr. E. Grasso, Fondamenti di una spiritualità..., 104.

[16] Cfr. A. Romani, L’immagine della Chiesa “Sposa del Verbo” nelle opere di Hans Urs von Balthasar, Libreria Editrice delle Pontificia Università Lateranense, Roma 1979, 112-130.

[17] Cfr. H.U. von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica, I. La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1975, 278-336.

[18] Redemptoris missio, 91.

[19] H. Nadal, Epistolae, IV, Lopez del Horno, Matriti 1905, 651.

[20] Cfr. H. Nadal, Epistolae…, 652; cfr. A. Queralt, “Contemplativus in actione”, in La Mistica. Fenomenologia e riflessione teologica. A cura di E. Ancilli - M. Paparozzi, II, Città Nuova, Roma 1984, 331-361.

[21] Cfr. Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, II-II, q. 188, a. 6. Per inciso, notiamo che Tommaso si appoggia su di una argomentazione tratta dalle omelie su Ezechiele di Gregorio Magno. Garrigou-Lagrange, in proposito, riprendendo un commentario del Passerini, al seguito di più teologi tomisti, sottolinea che l’azione apostolica non è, nel senso proprio del termine, il fine della contemplazione (finis cujus gratia), ma ne è l’effetto (finis effectus), cfr. R. Garrigou-Lagrange, Perfection chrétienne et Contemplation selon S. Thomas d’Aquin et S. Jean de la Croix, II, Éd. de La Vie Spirituelle, Saint-Maximin 1923, 624-625.

[22] G. Thils, Nature et spiritualité du clergé diocésain, Desclée de Brouwer et Cie, Bruges 1946, 286-288.

[23] Cfr. Lc 7, 36-50.

[24] Cfr. Lc 10, 38-42.

[25] Gv 11, 1-44.

[26] Cfr. Mt 26, 6-13; cfr. Mc 14, 3-9; cfr. Gv 12, 1-8.

[27] Lc 8, 2; cfr. Mc 16, 9.

[28] Cfr. Mt 27, 55-56; cfr. Mc 15, 40-41; cfr. Lc 23, 49; cfr. Gv 19, 25.

[29] Cfr. Mt 28, 1-10; Mc 16, 1-10; Lc 24, 1-10; Gv 20, 11-18.

[30] Cfr. V. Saxer, Les saintes Marie Madeleine et Marie de Béthanie dans la tradition liturgique et homilétique orientale, in “Revue des Sciences Religieuses” 32 (1958) 1-37.

[31] Cfr. Gregorio Magno, Omelia, II, XXXIII, 1, in Opere di Gregorio Magno, II. Omelie sui Vangeli. A cura di G. Cremascoli, Città Nuova, Roma 1994, 422-423; cfr. Gregorio Magno, Lettera, VII, 22, in Opere di Gregorio Magno, V/2. Lettere. A cura di V. Recchia, Città Nuova, Roma 1996, 450-453.

[32] Cfr. J.-N. Guinot, La tradición patrística, in J.-B. Auberger - J. Beaude y otros, Figuras de María Magdalena, Verbo Divino, Estella (Navarra) 2008, 24-25.

[33] Cfr. Gregorio Magno, Omelia, II, XXV, in Opere di Gregorio Magno, II. Omelie sui Vangeli…, 310-327.

[34] Cfr. V. Saxer, Le culte de Marie Madeleine en Occident des origines à la fin du moyen âge, I, Clavreuil, Paris 1959, 5.

[35] Cfr. A. Feuillet, Les deux onctions faites sur Jésus, et Marie-Madeleine. Contribution à l’étude des rapports entre les Synoptiques et le quatrième évangile, in “Revue Tomiste” 75 (1975) 357-394.

[36] Cfr. M.-J. Lagrange, Jésus a-t-il été oint plusieurs fois et par plusieurs femmes? Opinions des anciens écrivains ecclésiastiques, in “Revue Biblique” 21 (1912) 504-532.

[37] H.D. Lacordaire, Santa Maria Maddalena, Marietti, Torino-Roma 1927, 42-43.

[38] Cfr. V. Saxer, Un sermon médiéval sur la Madeleine. Reprise d’une homélie antique pour Pâques attribuable à Optat de Milève (+ 392), in “Revue Bénédictine” 80 (1970) 17-50.

[39] Cfr. J. Daniélou, La typologie de la femme dans l’Ancien Testament, in “La Vie Spirituelle” 80/I (1949) 504.

[40] Cfr. J.-N. Guinot, La tradición patrística…, 44.

 

 

22/07/2021