Visitando le famiglie dei quartieri più poveri della nostra parrocchia di Ypacaraí, capita spesso che, quando il discorso cade sui figli, si venga a sapere che non sono stati ancora battezzati. Ormai non meraviglia più la spiegazione che viene data quasi invariabilmente: “Non riusciamo a trovare i padrini”.

Non manca certo la volontà di battezzarli e tanto meno la fede: sono i genitori ad aver chiesto la visita del sacerdote per pregare insieme. No, l’unico ostacolo – che ritarda il battesimo in maniera imbarazzante, facendolo posporre addirittura fino ai dodici, quattordici anni – è la difficoltà di trovare un padrino.

Sono diverse le ragioni di questa difficoltà. Innanzitutto, sono poche le persone che si trovano nella condizione di essere scelte come padrini, perché le norme ecclesiali stabiliscono, al riguardo, requisiti che solo alcuni soddisfano. In Paraguay, solo una minoranza è sposata in chiesa – e i più poveri non lo sono quasi mai –, il che li esclude dalla possibilità di essere padrini.

Se poi i genitori del bambino non sono sposati in chiesa, hanno una difficoltà supplementare, e di peso, nel trovare un padrino: una norma della Conferenza Episcopale Paraguaiana, introdotta da decenni e restrittiva rispetto a quanto previsto dal Codice di Diritto Canonico, stabilisce infatti che, nel loro caso, il bambino debba avere come padrini una coppia sposata. La motivazione di questa misura era la supposizione che i padrini avrebbero rappresentato, per il bambino, quell’esempio di famiglia cristiana che non trovava invece nei suoi genitori. Era presente anche l’intenzione di favorire, in questo modo, una presa di coscienza dell’importanza del matrimonio.

Il risultato di questa norma è che il numero di padrini potenziali è molto esiguo: poche persone sposate in chiesa di fronte a una massa di bambini nati da coppie conviventi e da quella figura caratteristica della società paraguaiana che è la madre soltera. Uno squilibrio enorme, quindi, che fa sì che i pochi candidati che hanno i requisiti per poter svolgere il ruolo di padrino o madrina giungano a un punto di saturazione, nel quale non sono più disposti ad accettare altri figliocci, anche per gli obblighi economici che questo implica e che diventano tanto più onerosi quanto più il figlioccio è povero.

È urgente quindi trovare una soluzione, essendo inaccettabile che il battesimo venga ritardato per anni, a volte fino all’età adulta, solo perché i genitori non hanno trovato dei padrini.

Del resto, il padrino non è richiesto per l’essenza del sacramento. Lo stesso Codice di Diritto Canonico afferma: “Al battezzando, per quanto è possibile, venga dato un padrino” (can. 872).

Occorre quindi domandarsi: qual è la funzione del padrino, quali sono le stratificazioni storiche e i significati sociologici di cui è ricoperto?

I padrini nella storia

La presenza al battesimo di una figura che presenta il candidato e si impegna a seguirne la crescita spirituale è attestata dalla più antica tradizione della Chiesa. Non se ne possono trovare riscontri nel Nuovo Testamento, e del resto risulta difficile supporre che avessero un padrino le tremila persone che, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, furono battezzate il giorno di Pentecoste.

Si trova però un’allusione a chi accompagna il battezzando già nel II secolo in san Giustino, considerato il primo filosofo cristiano. Nella Traditio apostolica, della fine dello stesso secolo, è presente una descrizione del ruolo di questa figura, come pure in Tertulliano, che, nel secolo successivo, ritiene già importante insistere sull’importanza della sua funzione, che non può essere presa alla leggera. Nei secoli seguenti, poi, si moltiplicano i riferimenti.

Quasi tutte le occorrenze si riferiscono al battesimo degli adulti, nel quale la funzione del padrino era evidentemente diversa rispetto al battesimo dei bambini. Riguardo agli adulti, si trattava, nel tempo delle persecuzioni, di garantire che il candidato non avrebbe rinnegato la fede e non avrebbe messo in pericolo la comunità; più tardi, al tempo delle conversioni in massa e della trasformazione del cristianesimo in religione di Stato, si trattava di certificare che il battesimo era motivato da sentimenti sinceri e non da opportunità di carriera o dal desiderio di compiacere il coniuge o un parente. Inoltre, dopo il battesimo, il padrino doveva rafforzare il suo protetto con la parola e con l’esempio.

Sappiamo tuttavia che anche nel caso del battesimo dei bambini era prevista una figura analoga, che nel corso della celebrazione rispondeva per il bambino.

La presenza di questa figura accanto al bambino è l’espressione di una convinzione profonda della Chiesa: la necessità di distinguere la nascita secondo la carne dalla nascita secondo lo spirito, la responsabilità naturale dei genitori dalla responsabilità soprannaturale dei padrini, che agiscono in nome della Chiesa. Attraverso il padrino, è la Chiesa che si occupa di accompagnare la fede e la conversione del bambino dopo il battesimo. L’attaccamento alla figura dei padrini si spiega così con il desiderio di non far coincidere chi ha generato alla vita con chi genera alla vita eterna.

Una conseguenza è che, a partire dal IX secolo, i genitori vennero come occultati nella liturgia battesimale: chi agiva e rispondeva per i bambini erano esclusivamente i padrini.

Ne risultava così affermata la nozione di “rinascita spirituale” che, analogamente alla “nascita naturale”, implicava un sistema di parentele basato sui principi di paternitas, compaternitas e fraternitas spiritualis. La paternità spirituale non poteva essere meno reale ed effettiva di quella carnale. Da qui il sorgere di impedimenti matrimoniali che andranno rafforzandosi e moltiplicandosi. Non solo il padrino o la madrina non potranno sposare il loro figlioccio o figlioccia, ma anche i rispettivi familiari, fino a determinati gradi di parentela, verranno implicati negli stessi impedimenti. Il figlio del padrino sarà, per la figlioccia, un fratello; il fratello del padrino, uno zio, e così via, con le relative proibizioni di contrarre matrimonio.

Diversi antropologi e storici hanno rilevato che proprio gli impedimenti legati all’istituzione del padrinato hanno assecondato la messa in atto di un’esogamia ancora più esigente, con la quale si sono stabilite relazioni via via sempre più ampie, che hanno favorito il grande dinamismo demografico constatato tra l’XI e il XIII sec.

Il padrinato divenne così uno strumento formidabile di costruzione di alleanze tra famiglie, il che spiega la grande popolarità dell’istituzione nelle società europee durante il Medioevo e la prima Età Moderna.

La selezione dei padrini e delle madrine da attribuire a un nuovo nato rappresentava l’occasione per stabilire nuove reti di legami pubblici. Il battesimo era l’occasione del “dono” del bambino al padrino, che, una volta accettato il dono, si trovava nella situazione di dover contraccambiare. Essere “compare”, infatti, implicava dei doveri di condotta tra le parti e l’assunzione di precisi oneri, anche finanziari.

Nel corso dei secoli, i rapporti di padrinato finirono per essere spogliati di gran parte del loro significato religioso; la parentela spirituale diventò funzionale al sistema di estensione e potenziamento delle reti di relazioni familiari e sociali.

Dal Concilio di Trento al Vaticano II

Alla vigilia del Concilio di Trento (1545-1563), la Chiesa incontrava notevoli difficoltà ad imporre il suo punto di vista su popolazioni che avevano ormai elaborato una propria nozione di padrinato. Come se, una volta creata l’istituzione religiosa, fossero state le popolazioni stesse a rivestirla autonomamente di contenuti, significati e rilevanza sociale. Non era raro che decine di padrini e madrine – soprattutto nel caso di nobili o ricchi borghesi – si affollassero attorno al fonte battesimale e, in molti casi, la presenza di un padrino prestigioso era frutto di accordi precisi, per giungere ai quali poteva risultare necessario intavolare lunghe trattative.

Il Concilio di Trento intervenne drasticamente, riducendo gli impedimenti matrimoniali, ammettendo la presenza, al massimo, di un padrino e una madrina e, in un intento egualitario, insistendo affinché tutti, anche i trovatelli, avessero almeno un padrino, il che, tra l’altro, prova che spesso venivano battezzati senza padrino.

Nei successivi sinodi milanesi, si raccomandò più volte di badare alle qualità morali dei padrini e al loro obbligo di attendere all’educazione cristiana dei loro figliocci.

Evidentemente, anche dopo la riduzione del numero dei padrini, l’istituzione veniva ancora utilizzata per assolvere ad esigenze non di tipo morale e spirituale, ma come strumento per stringere alleanze e stabilire relazioni, ovvero, in definitiva, per soddisfare bisogni di natura secolare e materiale.

Il Concilio di Trento fu determinante per un’altra importante evoluzione. I genitori e i padrini non furono certo sollevati dalla responsabilità di istruire cristianamente i loro figli e figliocci, ma il Concilio, stabilendo l’obbligo per ogni parroco di insegnare la dottrina cristiana ai bambini tutti i giorni di festa, introdusse un cambiamento di grande rilievo, che rispondeva a un problema di fondo: la formazione data da genitori e padrini presentava sempre più carenze. Era già lontana l’epoca, descritta dalla grande medievista Régine Pernoud, nella quale la Chiesa confidava nel fatto che l’istruzione nella fede si dava più come un’impregnazione che come un esercizio dell’intelletto, favorita com’era da un clima dove tutto acquistava un significato religioso e dove tutta la vita era sacramentale, così che l’educazione cristiana era un processo spontaneo, un assorbimento naturale di norme, valori e convinzioni che poteva prescindere da agenti e momenti specifici.

La disciplina introdotta dal Concilio di Trento si è mantenuta fino agli anni successivi al Vaticano II. La pubblicazione del nuovo rituale, nel 1969, ha posto fine all’ipertrofia del ruolo dei padrini, certo ancor più anacronistica quando si pensa all’affermazione della famiglia nucleare e a chi sono i protagonisti effettivi dell’educazione. Il rituale attuale ridimensiona fortemente il compito dei padrini e, nelle note introduttive, ristabilisce la giusta relazione tra genitori e padrini con l’affermazione: “Rientra nell’ordine stesso delle cose che il compito e l’ufficio dei genitori nel battesimo dei bambini abbia la preminenza rispetto a quello dei padrini” (Praenotanda, 5).

Proposte di un cambiamento radicale del padrinato

L’America Latina è una di quelle aree geografiche dove il padrinato continua ad essere percepito essenzialmente come alleanza sociale. È il caso anche di altre zone del globo, come l’Italia meridionale, dove le cronache, anche molto recenti, hanno messo in luce quanto possa essere ambigua, e lontana da ogni mentalità cristiana, la figura del “padrino”, che del resto ha dato il nome alla famosa saga romanzesca e cinematografica.

Riguardo appunto all’Italia meridionale, da circa un decennio si susseguono le prese di posizione. Nel 2014, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, dichiarò ai giornalisti, al termine della celebrazione nella quale aveva ricevuto il pallio da Papa Francesco, che il Santo Padre, conversando con lui, si era ricordato di una lettera che Mons. Morosini gli aveva inviato proponendo di abolire per dieci anni i padrini del battesimo e della cresima, almeno per la diocesi di Reggio Calabria, per ostacolare l’uso strumentale della Chiesa e dei sacramenti da parte della Ndrangheta. Il presule riferì che Papa Francesco dette indicazione che tutti i Vescovi della Calabria discutessero del problema ed inviassero poi una relazione scritta alla sua attenzione.

A favore della soluzione proposta dall’Arcivescovo di Reggio Calabria si espresse Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, oltre che noto teologo:

“La scelta di cancellare i padrini nei sacramenti del battesimo e della cresima, avanzata dall’Arcivescovo di Reggio Calabria, è più che legittima: se ritiene che la presenza dei padrini sia più dannosa che utile per la crescita spirituale della sua comunità, non solo può, ma addirittura deve compiere un passo simile. Se lui, che ben conosce la situazione della sua diocesi, è giunto a questa determinazione, avrà tali e tante serie ragioni che io credo vadano soltanto rispettate e apprezzate, assieme al coraggio personale di quest’uomo di Chiesa che giunge a fare al Papa una simile richiesta, per avere da lui la massima autorità come testimonianza della fermezza e della decisione con cui la Chiesa combatte la mafia”.

Da parte sua, Mons. Giancarlo Maria Bregantini, già Vescovo di Locri-Gerace e attualmente Arcivescovo di Campobasso-Bojano, propose che, per evitare infiltrazioni di mafiosi nella Chiesa, fossero i catechisti a fare da padrini. In una dichiarazione all’Adnkronos spiegò che si trattava di un’alternativa all’abolizione dei padrini. Una soluzione, questa, che – rimarcava Mons. Bregantini – andava al di là dei dieci anni e creava una mentalità cristiana, perché i ragazzi venivano cresciuti dalla comunità e impediva che la mafia creasse finti padrini o privasse la Chiesa di una sua antichissima istituzione.

E Mons. Alessandro Plotti, già Arcivescovo di Pisa, nel 2013, quando era Amministratore Apostolico della diocesi di Trapani, confrontato agli stessi problemi scrisse una lettera pastorale nella quale domandava:

“Perché non possono essere padrini e madrine gli stessi catechisti che li hanno preparati e che, proprio per il rapporto spirituale che si è creato, sono forse i più idonei a seguirli anche dopo la celebrazione, incrementando quella rete di affetti e di legami che apre il cuore dei ragazzi alla vita e alla storia della parrocchia che deve diventare la loro seconda famiglia?”.

Infine, Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo, con un Decreto datato 23 gennaio 2023, ha sospeso, per la durata di un triennio e ad experimentum, l’ufficio di padrino e madrina nel battesimo dei bambini, nella confermazione degli adolescenti e degli adulti, nonché nell’iniziazione cristiana degli adulti, omettendo nei riti rispettivi tutto quanto riguarda i padrini. L’Arcivescovo ha motivato la decisione ricordando che, nel corso del tempo, l’essere padrino è andato confondendosi “con relazioni di parentela, se non addirittura con legami ambigui”; inoltre, “relegato, il più delle volte, al solo momento rituale, ha perso l’originario significato, riducendosi a semplice ‘orpello coreografico’ in una cerimonia religiosa”. Mons. Lorefice ha anche fatto riferimento al dibattito degli ultimi anni: “Da tempo, ormai, si discute dell’opportunità o meno di sospendere o abolire l’istituto del ‘padrinato’, ritenuto, di fatto, non obbligatorio dallo stesso Codice di Diritto Canonico”.

Interpellati dalla realtà

Le ipotesi di soluzione avanzate riguardo alla situazione italiana possono essere valutate anche per il Paraguay, in risposta alla domanda posta all’inizio: che fare perché la mancanza di padrini non impedisca il battesimo?

Può contribuire ad affrontare il problema anche una presa d’atto della fictio che accompagna il discorso sui padrini: non svolgeranno nessun ruolo nell’educazione cristiana del bambino.

Non è sui padrini, sulla loro preparazione e le loro caratteristiche che si gioca il futuro dell’iniziazione cristiana. Insistere sulla funzione educativa dei padrini, richiedere loro una formazione sempre più esigente, farne il perno di un rinnovamento della catechesi pre-battesimale – come capita di leggere in pubblicazioni evidentemente concepite nelle accademie, lontano da qualsiasi autentica esperienza pastorale –, restringere ulteriormente le condizioni per l’ammissione dei padrini significa non prendere in considerazione la realtà.

Michele Chiappo

 

 

Elementi bibliografici:

  • Alfani G., Padri, padrini, padroni. La parentela spirituale nella storia, Marsilio, Venezia 2006.

  • Fine A., Parrains, marraines. La parenté spirituelle en Europe, Fayard, Paris 1994.

  • Pérez Verdugo A., Rudimenta fidei. La celebración litúrgica del inicio de la fe, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013.

  • Pernoud R., L’initiation au Moyen Âge, in Communion solennelle et profession de foi, Cerf (Lex orandi 14), Paris 1952, 33-45.

  • Saxer V., Les rites de l’Initiation chrétienne du IIe au VIe siècle. Esquisse historique et signification d’après leurs principaux témoins, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1988.

 

 

 

12/02/2023