Un’analisi originale
Non viene spontaneo stabilire un legame tra il nichilismo, fenomeno moderno associato istintivamente alla “morte di Dio”, e l’arcaismo dell’ideologia cui si ispirano gli autori degli attentati di matrice islamica. Aver rintracciato questo legame è merito dell’ultimo libro di François Guéry, decano della Facoltà di Filosofia dell’Università di Lione, dal titolo: Archéologie du nihilisme[1].
Il riferimento all’archeologia si giustifica dal punto di vista etimologico – l’archeologia è “scienza del principio, arché”, e in effetti Guéry va alla ricerca del principio del concetto di nichilismo, con l’obiettivo di farlo uscire dall’ambiguità che spesso lo avvolge – e dal punto di vista metodologico: come un archeologo che disseppellisce frammenti, individua gli strati sovrapposti, ripulisce e cataloga, Guéry distingue minuziosamente le manifestazioni successive del nichilismo, dalle origini ad oggi, percorrendo la letteratura, la filosofia e la storia.
Rancore e rifiuto dell’eredità
Per comprendere il nichilismo, dunque, bisogna innanzitutto tornare alla sua più antica manifestazione. Il primo nichilista non è un rivoluzionario in carne e ossa, e neppure un filosofo, ma un personaggio uscito dalla penna di Turgenev: è il Bazarov di Padri e Figli. Il fatto è noto, ma, afferma Guéry, i ponderosi trattati che, da Nietzsche in poi, hanno analizzato o teorizzato il nichilismo, vi hanno dedicato solo poche righe frettolose, come se le circostanze della nascita fossero un puro accidente. E invece già il titolo del romanzo precisa le coordinate fondamentali del nichilismo: una rottura tra padri e figli, il rigetto del mondo così com’è sempre stato, una volontà di dire no. A chi glielo chiede, Bazarov risponde che non sa cosa vuole: per lui è sufficiente distruggere, a un’altra generazione spetterà costruire.
Il quadro della trama di Padri e Figli è la Russia zarista nel momento in cui vuole occidentalizzarsi, modernizzarsi e democratizzarsi, in particolare abolendo la servitù della gleba. È da questo sconvolgimento dell’ordine millenario che nascono i nichilisti. Non approvano la società antica, ma nemmeno quella che sta nascendo, dove, a loro parere, tutto cambia perché non cambi nulla, come si legge in un altro grande romanzo che descrive avvenimenti certo di un’altra terra, ma della stessa epoca, Il Gattopardo. La loro posizione è un né questo né quello. Li consuma il rancore, la rabbia per non partecipare alle nuove opportunità di un mondo luccicante.
“Forse che – si chiede Guéry – la modernizzazione, nel XIX come nel XXI secolo, genera, segreta come un antidoto, la violenza carica d’odio e assassina, che non vuole fare un passo indietro, ma un salto in avanti in un avvenire sconosciuto, dove tutto il presente viene sconvolto come in un sisma?”.
Il salto in avanti lo vogliono anche i terroristi islamici: “L’11 settembre: una negazione in atto, un pollice verso davanti al mondo così com’è, un verdetto: il niente!”. Con i nichilisti che fanno esplodere la carrozza dello zar Alessandro II, il 13 marzo 1881,
“le analogie sono numerose: la minuzia e la lunghezza dei preparativi e il fatto che l’omicidio sia simultaneamente il suicidio degli omicidi. Per l’assassinio dello zar, compilare una statistica dei suoi spostamenti, una topografia degli itinerari seguiti; per l’11 settembre,
imparare a pilotare, sintonizzarsi sulla frequenza delle torri da colpire, padroneggiare tutti i complessi aspetti della navigazione aerea commerciale. Ci vuole non solo tempo e pazienza, ma anche ostinazione, costanza nel culto del segreto, tanto all’esterno quanto all’interno: estinzione dei sentimenti personali al di fuori di un odio freddo, coltivato, vissuto come determinazione”.
Il romanzo di Turgenev precede di una ventina d’anni l’assassinio dello zar riformatore, insieme al quale viene ucciso anche, prima che prenda forma, l’aggiornamento di una società impantanata nel passato. Come il Werther di Goethe aveva portato generazioni di giovani romantici al suicidio per mimetismo, così il Bazarov di Turgenev ha una discendenza reale. La finzione romanzesca ha anticipato la realtà.
Del resto, poco più di un mese prima dell’assassinio dello Zar muore Dostoevskij, che nelle sue opere ha analizzato la psicologia del nichilista, in un va e vieni con la cronaca del tempo: la trama de I Demoni, in particolare, non si distacca da quanto riportava la stampa sui crimini di un gruppo di terroristi. E il protagonista di Memorie dal sottosuolo, Ordinov, afferma: “Sai cosa voglio: che tutto sia annientato, tutto, tutto”. Ovvero: “Se mi dessero da scegliere tra l’umanità e una tazza di tè, sceglierei il tè”.
Quanto a Raskolnikov di Delitto e castigo, l’assassinio di una vecchia usuraia è per lui il mezzo per una rivincita su una società che lo ignora e che ha fatto di lui una comparsa trascurabile: una rivincita vergognosa, certo, a meno che non si ammanti dell’aura di un atto di giustizia. Odio e disprezzo degli altri, astuzie, menzogne, manipolazione e, al finale, crimine: anche se manca ancora il collante che ne farà un movimento rivoluzionario vincitore, questi ingredienti entrano nella ricetta originaria del nichilismo individuata da Dostoevskij. Nella ricetta aggiornata, gli stessi ingredienti ricompaiono nel jihadismo.
Il nichilismo quotidiano dell’Occidente
Quando viene ucciso lo zar, Nietzsche sta scrivendo La gaia scienza. L’assassinio sacrilego del cesare (czar), vi riceve uno statuto grandioso. È la morte di Dio, formulata appunto, per la prima volta, nell’aforisma 125. Il mondo è capovolto: è l’“inversione dei valori”, che ha come premessa la distruzione dei “valori antichi”.
Voltare le spalle al passato, alle sue autorità e prescrizioni morali: il nichilismo diventa l’ethos dell’Occidente, come rifiuto dell’eredità. Anche l’eredità di un passato caratterizzato dall’affermazione graduale dei diritti umani è intollerabile, e da lì nascono i totalitarismi del XX secolo.
Ma oggi, secondo Guéry, il bastione del nichilismo non è la morte di Dio, che del resto “ha fatto scorrere più inchiostro che lacrime”, ma il dominio di una tecnica che espelle l’uomo. Il mondo svanisce nel calcolabile, nel dominabile.
Se si cercasse un indizio della vitalità del nichilismo, “bisognerebbe cercarlo dalle parti dei crimini ecologici”, nel saccheggio del pianeta da parte di un omiciattolo che ha preso il posto di Dio.
Perfino la moda mostra “l’inversione dei valori” nietzschiana. Dato che i reclusi americani non portano cintura e lacci delle scarpe, la moda propone pantaloni, più o meno stracciati, che lasciano spuntare mutande e pendono su scarpe slacciate, mentre tatuaggi, piercing e altre mutilazioni evocano pirati e trogloditi. Bisogna evitare di essere rispettabili e “civili”.
E se la moda è qualcosa di troppo “basso”, si può spostare lo sguardo “in alto”, verso l’arte, se ha ancora un senso afferrarsi al paradigma alto-basso. L’arte contemporanea è appunto caratterizzata dallo sconvolgimento dei valori, come è esemplificato in una delle sue opere più rappresentative, la Fontaine di Duchamp: un orinatoio, ovvero una fontana al contrario, assunto ad opera da galleria. Un vespasiano e la Cappella Sistina vengono posti allo stesso livello, così come la figura umana viene ridotta ad uno sgorbio.
Unico valore rifugio sopravvissuto al nichilismo è la salute (e già Bazarov era un medico). Ma la medicina moderna non è quella della relazione tra medico e paziente, del Camus de La peste, bensì quella preventiva e pianificatrice, che consiste in politiche di salute pubblica che cominciano prima della nascita. È volontà di potenza che associa sempre più eugenetica e medicina.
È un rifiuto non solo dell’eredità, ma anche dell’ereditarietà. La differenza sessuale stessa diventa oggetto di questa ostinazione distruttiva, perché il nascere uomo o donna è sentito come una limitazione intollerabile: “Una teoria si è incaricata di cancellare con parole e scritti quello che la chirurgia non può riparare in massa, la differenza sessuale”. Sulla base degli scritti di Simone de Beauvoir si è sviluppato un costruttivismo per il quale tutto è costruito, anche il sesso. La società si trasforma così in un demiurgo che recupera il retaggio del nichilismo storico.
Al Sinodo sulla famiglia del 2014, il Card. Robert Sarah ha affermato: “Per utilizzare uno slogan, ci troviamo tra l’ideologia gender e l’ISIS”. Alla luce del libro di Guéry, che riconduce tanto il terrorismo islamico quanto il costruttivismo sessuale al nichilismo, la sintesi del Cardinale è arguta e l’analogia implicita nelle sue parole non manca di coerenza.
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[1] Cfr. F. Guéry, Archéologie du nihilisme. De Dostoïevski aux djihadistes, Grasset, Paris 2015, 256 pp.
23/07/2022