Intervista a P. Bruno Secondin
Questa intervista a P. Bruno Secondin, realizzata nel 1998, viene portata all’attenzione dei nostri lettori per il legame singolare messo in luce tra santa Teresa del Bambin Gesù e i giovani della postmodernità. La Santa, infatti, si presenta come un personaggio di riferimento per coloro che, essendo giovani, difficilmente si sottomettono alle regole e insieme a loro si interroga sui grandi problemi della vita per scoprire un proprio modo di interpretare l’esistenza, la libertà e la santità.
P. Secondin, teologo carmelitano ed esperto in spiritualità, insegnò per quarant’anni alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Collaborò a riviste di teologia e di pastorale e si impegnò in innumerevoli conferenze e incontri internazionali. Fu autore di numerosi libri di spiritualità. Nel febbraio 2015 dettò gli Esercizi spirituali a Papa Francesco e alla Curia Romana (cfr. B. Secondin, Profeti del Dio vivente. In cammino con Elia, Messaggero-LEV, Padova-Vaticano 2015). È deceduto il 7 giugno 2019.
- Teresa di Lisieux è stata definita “la più grande Santa dei tempi moderni”, ma qual è l’attualità del suo messaggio nel contesto postmoderno attuale?
L’espressione “la più grande Santa dei tempi moderni” è attribuita al Papa Pio X, quando eravamo ancora all’inizio della sua fama. Una stima del tutto particolare ha mostrato per la carmelitana il Papa Pio XI, che la proclamò Santa e Patrona delle missioni. Certamente, le ragioni per cui nella prima metà del secolo XX Teresina ebbe una fama enorme, del tutto eccezionale, sono differenti da quelle per cui oggi la si può proclamare la grande testimone di Dio nella crisi della modernità. Mi limiterò a alcuni aspetti.
Anzitutto per la semplicità della sua proposta spirituale: essa non ha costruito dei grandi trattati, non ha quelle grandi “narrazioni” che sono caratteristiche dell’epoca moderna, con le sue utopie e i suoi progetti globali. La santità che essa vive e racconta è sviluppata sul filo della quotidianità, impastata di ferialità, dentro la quale scopre valori più grandi, quella saggezza di vita che orienta un’intera esistenza, senza essere un macro-ideale forzato.
Dentro questo quadro “feriale” essa, però, sa anche interrogarsi sui grandi problemi dell’esistenza, il senso della vita, della libertà, del cammino oscuro della fede, della grandezza della misericordia, del fascino dell’amore di Dio. E la sua risposta non intende essere una soluzione teorica, ma viene iscritta nella fatica di vivere, quasi possiamo dirla l’ermeneutica della vita stessa. Narrandosi riesce a interpretarsi e a illuminare gli angoli oscuri: la microstoria è anche per la nostra tarda modernità il fulcro e la fonte di senso.
Ha osato profanare il mito delle “anime grandi” costruite sui grandi sacrifici, per varcare piuttosto la soglia dell’incredulità, della piccolezza come chiave della santità, della fragilità come epifania di Dio. Il suo Dio è un Dio “mendicante”: tenerissimo, quasi “giocherellone” – se fosse lecito usare una parola del genere – nel senso di un amore fantasioso, sorprendente, ludens, come dice la Bibbia (cfr. Pr 8, 30s.). Per il suo ambiente monastico e la spiritualità del tempo, Dio era giustizia severa sempre incombente; per lei è sinonimo di tenerezza, di compagnia, di amore e solo amore.
- Teresa e i giovani del nostro tempo cosa hanno in comune?
Hanno in comune l’età, prima di tutto, e poi la voglia di viaggiare, la gioia di conoscere il mondo, il gusto per la natura, ma anche il senso della fragilità, la vulnerabilità, la schiettezza dei sentimenti, il fastidio per gli schemi artefatti, l’amore per la poesia, per l’espressione artistica. Oggi i giovani non si sentono attratti da grandi progetti, da scalate vertiginose nella santità, cercano invece chi li ascolti senza condannarli, li incoraggi senza illuderli, li entusiasmi senza giocare con la loro disponibilità. È quello che anche Teresa cercava: una santità ricca di tenerezza e di concretezza, una libertà che fosse anche carica di comunione e pazienza, una vivacità non priva di ironia ma senza ipocrisia. Credo che i giovani su questi punti si trovino in buona compagnia.
Certamente ci sono anche delle distanze difficili da colmare: Teresina veniva da una famiglia borghese benestante, non ha mai conosciuto veramente i problemi del lavoro, della casa, dell’insicurezza sociale. Ma ha conosciuto la sofferenza di essere orfana, il disagio di un padre uscito di senno, l’ironia sulla sua giovane età. Distanze e vicinanze si completano, perché in fondo questa è la vita: un misto di bello e di meno bello, come per tutti.
- Dialogando con i giovani, in che misura Teresa di Lisieux li può interpellare e a quali domande può rispondere?
Li può interpellare a partire dalla sua stessa vita: nonostante le apparenze, come ho detto, il dolore e le ferite hanno segnato la sua vita; ha avuto crisi fisiche e psichiche, capricci e slanci audaci. La prima interpellazione è proprio qui: vivere la propria vita, scoprendone il filo conduttore, rileggendo i passaggi chiave in termini di maturazione e non solo di lamentela, vedendo la grazia in atto anche dentro i propri capricci e le delusioni. Anche lei ha rischiato di raggomitolarsi dentro le proprie ferite e le emozioni deluse: ma ne è venuta fuori, lottando con se stessa, riconoscendo l’inconsistenza delle proprie rivendicazioni, affidandosi al gioco di Dio.
Un secondo dialogo può avvenire a livello di grandi scelte di vita: avere il coraggio di pensare meno “rasoterra”, di nutrire un po’ di audacia e giocarsi per le intuizioni migliori. Ella voleva entrare al Carmelo – dove del resto non avrebbe trovato certo solo rose, ma molte spine – e per questo ha escogitato ogni mezzo, compreso un intervento diretto presso il Papa. I giovani tendono troppo facilmente a scoraggiarsi di fronte alle difficoltà: Teresina può suggerire ai giovani di non perdersi di coraggio, di nutrire i progetti generosi con fantasia e creatività, ma anche con pazienza e speranza. Nelle cose normali ha mostrato una grande tenacia e una determinazione cocciuta: è questo che i giovani possono imparare.
Un terzo punto, per non dilungarmi troppo, è il senso della libertà personale e di fronte alle tradizioni. I giovani vogliono fare la propria strada, inventarsi la vita, non solo ricopiarla. Teresa insegna che è possibile uscire fuori, fare uso sereno e chiaro della propria libertà: essa ha inventato una nuova attualità per verità antiche, rese quasi sterili da schemi rigidi. Ha riportato il Vangelo al centro del quotidiano, è diventata teologa dell’amore divino con linguaggio di grande suggestione, ha recuperato il senso di Chiesa come corpo vivente e comunione di carismi, mal sopportava prediche barocche e le contorsioni dei libri spirituali. E positivamente desiderava essere sacerdote, profeta, martire, apostolo; credeva nella funzione ecclesiale delle donne contro una mentalità maschilista e sospettosa. Ecco fra i tanti alcuni degli aspetti che le giovani generazioni amano evidenziare: Teresa li condividerebbe, anzi in alcuni punti forse andrebbe anche più avanti. Ma non per distaccarsene: piuttosto per aprire la strada a una nuova stagione da condividere con tutti, da gustare insieme.
(A cura di Mariangela Mammi)
01/10/2022