Intervista a don Daniele Bernabei, parroco di Finale Emilia
La parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo Apostoli, di Finale Emilia, nella arcidiocesi di Modena-Nonantola, è una parrocchia che, da moltissimi anni, ci accoglie puntualmente per l’animazione missionaria e la diffusione delle nostre pubblicazioni. Abbiamo iniziato la nostra presenza con l’indimenticabile mons. Ettore Rovatti, scomparso nel 2015, e continuiamo con il suo successore, don Daniele Bernabei, come il predecessore molto sensibile alla realtà missionaria e molto attento alle nostre pubblicazioni.
Con lui abbiamo parlato in un’intervista che riportiamo.
- Carissimo don Daniele, quale, secondo te, l’impatto della nostra presenza nella vita della parrocchia?
Mi concentro, anzitutto, sulla parola “presenza”: per tanti anni i padri della Comunità Redemptor hominis vennero a portare la propria testimonianza nella semplice parrocchia di San Giuseppe Artigiano, a Modena, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, quando io ero un giovane adolescente e coltivavo la mia fede con altri amici. All’epoca, non tutti i ragazzi partecipavano alla vita parrocchiale, ma quando venne abbattuta la vecchia chiesa per costruirne una nuova, rimasi colpito che proprio quei ragazzi ne sentissero la mancanza. Pur se non vivevi la vita della parrocchia, essa era un riferimento sicuro del tuo parchetto, del tuo quartiere; sapevi che potevi sempre contare su di essa, per trovare ascolto o conforto nei momenti di difficoltà. Ecco la “presenza”: un qualcosa di costante, che ti accompagna nello scorrere del tuo tempo, che ti fa ricordare che c’è e ha ancora da dirti qualcosa.
La Comunità Redemptor hominis l’ho ritrovata, diversi anni dopo, quando da sacerdote sono arrivato a fare servizio nella parrocchia di Finale Emilia: quale sorpresa per me ritrovare, innanzitutto quella Comunità (di cui ricordavo molto bene le testimonianze), ancora attiva, e verificare che il parroco storico del nuovo paese a cui ero stato mandato, mons. Ettore Rovatti, aveva mantenuto con essa un rapporto di accoglienza e di sostegno. Sentivo che toccava a me proseguire su quella strada.
Quindi, la parola “vita”: ci sono tante sostanze che contribuiscono a tenerci in vita e che vengono assimilate in modo diverso dal nostro organismo finalizzate alle varie funzioni da assolvere. Alcuni alimenti, pur non piacevoli, sono necessari; altri, invece, li mangiamo volentieri.
Penso, allora, che la testimonianza annuale degli amici della Comunità Redemptor hominis abbia il compito di essere per la nostra parrocchia una “presenza vitale”: qualcosa che c’è e che continua a interrogarci. Quando, certe volte, cediamo alla tentazione di sederci un po’ nella nostra vita di fede, riscopriamo la necessità della testimonianza di chi cammina, anche in terre lontane, attraverso racconti che possono, in alcuni, quasi infastidire il torpore spirituale nel quale sono finiti; in altri possono risvegliare o rafforzare la necessità e la voglia di capire che la fede non si esaurisce tra le mura, per quanto belle, di una parrocchia.
- Le nostre pubblicazioni quanto possono arricchire la parrocchia nel suo aspetto missionario?
Oggi, devo ammettere che lo slancio missionario, come lo pensiamo nella sua concezione più classica, cioè come il partire per un Paese lontano per portare l’annuncio della parola di Dio e il Vangelo, si è molto ridimensionato. Mi verrebbe quasi da affermare che più che partire per un mondo lontano, siamo chiamati ad accogliere un mondo che era lontano e che, in diverse forme, bussa alla porta di casa nostra. Mi riferisco a due cose: primo, nella nostra parrocchia di Finale Emilia, da quasi trent’anni accogliamo suore provenienti dal Kerala (India), e il nuovo collaboratore giovane, arrivato da pochi mesi, è pure lui indiano! Siamo una comunità di sei persone, di cui quattro indiane. L’aspetto missionario è anche questo: prendere consapevolezza che adesso è il lontano che ha la “bella notizia” da portare e che in noi abbiamo soffocato lo slancio evangelizzatore. Secondo aspetto: la nostra parrocchia sta ospitando, ormai da un anno, i profughi, solo donne coi bambini, provenienti da diversi Paesi africani (Nigeria, Camerun, Costa d’Avorio, Tunisia…). È un aspetto molto bello di missionarietà: quello dell’accoglienza del lontano, dell’emarginato o del disperato.
Le pubblicazioni della Comunità Redemptor hominis possono arricchire, alimentare, far crescere questo desiderio di apertura e di accoglienza del lontano, che, come appena detto, così lontano non è.
Dio parla nel silenzio del cuore è una delle pubblicazioni di don Emilio Grasso che più mi è piaciuta. La mia speranza è proprio che queste pubblicazioni, unite alla testimonianza, possano toccare il cuore della gente: qualcuno si interrogherà solamente; altri prenderanno lo spunto per “partire” per qualcosa di grande.
“Affida al Signore la tua via, ed egli compirà la sua opera” (Sal 37, 5).
(A cura di Sandro Puliani)
21/07/2024