Uno dei fenomeni di particolare attenzione nel nostro tempo, per la sua vastità e complessità, è quello delle migrazioni. La Chiesa ne è coinvolta in diversi modi ed è per questo che cercheremo di delineare un quadro sul ruolo che svolge la Chiesa locale di Hasselt, in Belgio, dove la nostra Comunità è presente.

Per avere una visione generale del fenomeno migratorio dei tempi recenti, accenniamo, innanzi tutto, al periodo delle miniere di carbone nel Belgio, in particolare nel Limburgo.

L’immigrazione dall’Italia in Belgio è iniziata nel 1946 con la firma del Protocollo italo-belga che prevedeva l’invio di lavoratori per lo sfruttamento di miniere di carbone in cambio di carbone estratto.

Essa è stata un fenomeno significativo che ha coinvolto migliaia di uomini e famiglie, mossi dalla ricerca di un futuro migliore, ma che ha anche causato forti traumi personali e sociali. In particolare dalle zone rurali italiane, colpite da povertà, partirono in tanti per lavorare nelle miniere dapprima nella Vallonia, di lingua francese, e successivamente nel Limburgo, di lingua fiamminga.

La Chiesa, in accordo con le autorità civili, svolse allora un ruolo di coesione delle varie comunità linguistiche e di conservazione di valori tradizionali, realizzando talvolta un compito di supplenza dello Stato. Il risvolto, per lei, fu un aumento di influenza e prestigio nella società civile, non sempre accolto favorevolmente per gli addentellati con la politica.

Il raggiunto miglioramento economico e sociale da parte degli immigrati fu accompagnato, però, oltre che dal dolore di lasciare la propria casa paterna, anche dai disagi del lavoro nel sottosuolo, dalle malattie causate dalla polvere di carbone, dalla discriminazione nel Paese ospitante e dai traumi causati da eventi catastrofici: emblematico fu il disastro della miniera di Marcinelle, nei pressi di Charleroi, l’8 agosto 1956, che causò la morte di 262 minatori, tra cui 136 italiani.

Marcinelle segnò la fine dell’immigrazione italiana nelle miniere belghe.

Si giunse, alla fine del secolo scorso, alla chiusura delle miniere in tutto il Belgio, dato che il carbone non era più la fonte di energia delle industrie, soppiantato da gas e petrolio.

Per sapere se il fenomeno migratorio in Belgio abbia avuto un seguito e quale ruolo abbia assunto la Chiesa, ci siamo rivolti a Frank Deloffer, Delegato episcopale per “la Diaconia e la Caritas”.

 

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  • Dopo la chiusura delle miniere, possiamo ancora parlare di immigrazione in Limburgo?

Nel Limburgo belga, che coincide geograficamente con la diocesi di Hasselt, abbiamo conosciuto, verso la metà del secolo scorso, un’enorme ondata migratoria. Le miniere di carbone causarono l’emigrazione di massa nel Limburgo di persone provenienti da Italia, Polonia, Spagna, Turchia, Marocco e Tunisia.

Qual è l’impatto, nel 2025, di questo movimento migratorio? Molti comuni e città contano comunità tuttora vitali le cui radici affondano in questa migrazione. Da nazioni cattoliche vennero sacerdoti che fondarono “missioni” in diverse parrocchie e abbiamo ancor oggi comunità cristiane italiane e polacche. Anche se ci troviamo già alla seconda e alla terza generazione, queste “missioni” sono presenti e attive.

L’immigrazione, che è collegata tradizionalmente all’offerta di lavoro, non conobbe successivamente la stessa entità del precedente fenomeno. Ci fu un tempo in cui, nel settore frutticolo del Limburgo, la domanda di lavoratori si diresse alle nazioni dell’ex Blocco Sovietico, dei Balcani e ai Sikh dell’India.

Recentemente è iniziato l’esperimento con giovani donne indiane per l’impiego nel settore sanitario.

Oggi nel Limburgo l’offerta di posti di lavoro si rivolge soprattutto a personale qualificato.

In Belgio, l’immigrazione attuale viene spesso associata alla problematica dei rifugiati, dato l’alto numero di richieste di asilo che, nel solo 2024, ha superato le 39.500 unità. Ma i due fenomeni hanno diverse cause alla base, ben distinte tra loro: l’immigrazione ha una motivazione economica; il fenomeno dei rifugiati ne ha una politico-sociale, che porta le persone a sfuggire conflitti bellici o persecuzioni politiche.

  • Che ruolo svolge la Chiesa locale nel fenomeno migratorio dei rifugiati?

Se si tratta di rifugiati cattolici, si fa riferimento alle strutture esistenti delle “missioni” cattoliche, mentre i rifugiati musulmani hanno proprie strutture di accoglienza. Dal punto di vista sociale ci si rivolge alle organizzazioni statali che si occupano dei rifugiati.

La diocesi di Hasselt è coinvolta nell’attività della “Piattaforma limburghese per rifugiati” e mette a disposizione un’abitazione, tra le quattro case-caritas destinate ai più fragili della società, per accogliere una famiglia di rifugiati per il tempo che occorre per ottenere un’abitazione sociale. È questo un segno di umanità verso i bisognosi, il Lazzaro che incontriamo per le strade, ma non è la risoluzione del problema sociale e politico generale. Anche a livello di parrocchie vi sono gesti di carità verso chi ha bussato alla nostra porta, ma non sono da paragonare a interventi di carattere strutturale.

La Chiesa del Belgio non ha più, fortunatamente, lo status per potersi sostituire allo Stato nella soluzione di problematiche sociali, come è avvenuto al tempo delle miniere. Non è chiamata a un ruolo di supplenza in competenze che spettano allo Stato e che richiedono di svolgere un confronto politico a livello nazionale e internazionale, data la vastità e complessità del fenomeno.

In questo senso, il ruolo che la Chiesa gioca può essere individuato nell’aspirazione di diventare una comunità di accoglienza, rifacendosi alle parole della Sacra Scrittura. Nel Vecchio Testamento si legge che, dopo Dio, si deve amare il prossimo e, quindi, il rifugiato. Anche nella Torah si ritrova l’appello al popolo ebraico a ricordarsi che anch’esso è stato straniero in terra altrui. Nel Vangelo di Matteo leggiamo: “Ero straniero e mi avete accolto”.

Papa Francesco esprime sovente la sua preoccupazione per i migranti, i rifugiati e i senza tetto, le categorie di persone più vulnerabili del nostro mondo. Il suo primo viaggio come Pastore della Chiesa, nel 2013, fu a Lampedusa, dove tuttora attraccano navi di rifugiati. Nel Messaggio per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, Verso un noi sempre più grande, Papa Francesco indica la missione a cui è chiamata la comunità cristiana, che non è l’accoglienza generica dell’altro, ma l’impegno evangelizzatore che si concretizza in gesti di carità e rispetto:

“I flussi migratori contemporanei costituiscono una nuova frontiera missionaria, un’occasione privilegiata di annunciare Gesù Cristo e il suo Vangelo senza muoversi dal proprio ambiente, di testimoniare concretamente la fede cristiana nella carità e nel profondo rispetto per altre espressioni religiose”.

Nei riguardi della società la Chiesa svolge un compito profetico. Portatrice del messaggio evangelico di salvezza a tutti senza differenza di razza e provenienza, è chiamata a essere quella voce profetica che interpella la coscienza di ognuno al rispetto dell’altro, sia esso straniero che rifugiato. Essa ha il compito di richiamare a un serio discernimento della persona che si incontra in un determinato contesto per cercare di intraprendere insieme un cammino di giustizia e carità.

In quanto diocesi di Hasselt, ci occupiamo di sensibilizzare per far conoscere il fenomeno nelle sue giuste proporzioni, di denunciare – quando è necessario – atteggiamenti disumani e ingiusti: nel coro, che spesso conta voci false, la voce della Chiesa può fare la differenza.

Anche le comunità locali possono contribuire a spazi di approfondimento sul tema “migranti e rifugiati” nelle pagine di Kerk en leven, bollettino della diocesi di Hasselt diffuso nelle parrocchie, e nei media sociali, cercando di intervenire in ogni ambito per correggere una mentalità non rispettosa del diverso.

(A cura di Maria Cristina Forconi)

 

 

 

02/03/2025