Ai fedeli della parrocchia Sagrado Corazón de Jesús di Ypacaraí (Paraguay)

 

Miei cari amici,

ho ricevuto da un ragazzo paraguaiano una lettera scritta con parole colme di saggezza. Sono parole nelle quali la fede si accompagna all’intelligenza e alla razionalità, parole molto lontane da quel fideismo che spunta continuamente in mezzo homilia 26 04 2020 1 al nostro amato popolo e, allo stesso tempo, parole che non hanno nulla a che vedere con il razionalismo che è qualcosa di molto differente dalla razionalità.

Ho usato quattro parole delle quali, brevemente, voglio spiegare il significato.

La fede è l’obbedienza dell’uomo alla parola di Dio.

Parola di Dio non significa che noi parliamo di Dio, ma che il soggetto che ci parla è Dio stesso.

È scritto nei primi versetti della Lettera agli Ebrei che

“Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1, 1-2).

Questa Parola, che in principio era presso Dio ed era Dio (cfr. Gv 1, 1), si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1, 14).

Ora, per mezzo di questa Parola fatta carne, che si chiama Gesù Cristo, noi giungiamo al Padre di Gesù, a Dio stesso.

Oggi, due millenni dopo la venuta di Gesù in mezzo a noi, come possiamo conoscere Gesù e suo Padre?

Diceva san Cipriano di Cartagine, uno dei primi grandi Padri della Chiesa, che “nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre”.

Pertanto, la fede non è lo sforzo dell’uomo per giungere a Dio e nemmeno quel che l’uomo pensa di Dio o l’espressione dei suoi sentimenti verso di Lui.

La fede è vera quando è la fede della Chiesa che è una, santa, cattolica e apostolica.

Soltanto in comunione con la Chiesa, la nostra fede è obbedienza alla parola di Dio.

Nel primo libro della Bibbia si dice che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1, 26-27).

L’immagine e la somiglianza tra Dio e la sua creatura si trovano nelle impronte lasciate dalla Santissima Trinità nell’uomo, che sono le tre facoltà spirituali che lo costituiscono come un essere unico in tutta la creazione: la memoria, l’intelligenza e la volontà.

Se capiamo bene questo, allora arriviamo a comprendere che la parola di Dio s’indirizza all’uomo nella sua totalità.

E l’uomo, che è un essere libero, risponde a Dio affermativamente o negativamente con tutta la sua memoria, la sua intelligenza e la sua volontà.

L’eresia del fideismo consiste nell’errore, condannato dalla Chiesa, dell’impossibilità per la ragione umana di conoscere la verità e la fede.

È l’errore secondo il quale si ritiene che Dio faccia tutto e che, di conseguenza, l’uomo, totalmente passivo, con le braccia conserte e lo sguardo verso il cielo, non sia chiamato, contrariamente a quanto indica il libro della Genesi (cfr. Gen 2, 15), a coltivare e a custodire il giardino in cui Dio lo ha posto e a essere il primo collaboratore, intelligente, di Dio stesso in questa coltivazione e cura del creato.

Dall’altra parte, però, al contrario del fideismo, il razionalismo esclude la grazia e la presenza di Dio dalla vita dell’uomo che non diventa il coltivatore e il custode del mondo, ma pensa di esserne il creatore che può fare tutto quello che vuole – o, come siamo soliti dire, tutto ciò che gli piace – dell’universo che gli è stato affidato, universo che ha le sue leggi che siamo chiamati a scoprire e a rispettare.

Ecco perché, di fronte a questa pandemia del Coronavirus, dobbiamo evitare due posizioni errate:

  1. La prima è il fideismo che è una tendenza a minimizzare il ruolo della ragione nell’esaminare le verità religiose fondamentali e a sopravvalutare la libera decisione di fede. Il fideismo presenta la fede come un salto alla cieca nel vuoto.
  2. La seconda è il razionalismo che esclude la presenza di Dio in questo evento e non sa scoprire in esso una chiamata di Dio a convertirci, a tornare a Lui nell’amore a Lui e al nostro prossimo.
    Dobbiamo vedere questo tempo del Coronavirus come una grande prova personale e comunitaria, piena di sacrifici, che ci chiama, come diceva Papa Pio XII, a trasformare il mondo “da selvatico in umano, da umano in divino, vale a dire secondo il cuore di Dio”.

Se abbiamo compreso tutto questo, allora abbiamo capito che, in questo tempo del Coronavirus, non dobbiamo aspettare che tutto abbia termine con un miracolo di Dio.

Ho già detto che anche noi dobbiamo fare la nostra parte.

Non dobbiamo vedere il Coronavirus come una grande maledizione di Dio, ma come un kairós, cioè un tempo favorevole affinché l’uomo cambi e prenda coscienza che a nulla serve invocare continuamente il nome di Gesù e della sua Santissima Madre Maria, se, nello stesso tempo, non cambiamo la nostra maniera di vivere individualmente e socialmente, e non ci impegniamo con intelligenza e volontà affinché venga in mezzo a noi il Regno di Dio: Regno di verità e di giustizia.

Senza questo impegno per la verità e la giustizia, tutte le nostre catene di preghiere e le pratiche devozionali stancano Dio e non gli sono gradite.

La parola di Dio che leggiamo in Isaia ci indica il vero cammino di conversione e ciò che deve scaturire dall’autentica preghiera che Dio vuole:homilia 26 04 2020 3

“Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1, 16-17).

Non possiamo mai separare la preghiera cristiana dall’impegno per la verità, la giustizia e la pace.

Noi paraguaiani siamo un popolo fondamentalmente mariano.

Per questo amo concludere con le parole di un grande Papa e un grande Santo del nostro tempo: san Paolo VI.

Parlando di Maria san Paolo VI diceva:

"Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo. Maria primeggia, tra gli umili e i poveri del Signore, come una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio: situazioni che non possono sfuggire all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le energie liberatrici dell’uomo e della società. La figura della Vergine non deluda alcune attese profonde degli uomini del nostro tempo ed offra ad essi il modello compiuto del discepolo del Signore: artefice della città terrena e temporale, ma pellegrino solerte verso quella celeste ed eterna; promotore della giustizia che libera l’oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, ma soprattutto testimone operoso dell’amore che edifica Cristo nei cuori” (cfr. Marialis cultus, 37).

E che la benedizione di Dio onnipotente,
Padre e Figlio e Spirito Santo,
discenda su di voi, e con voi rimanga sempre.
Amen.

 

Don Emilio Grasso

 

 

 

29/04/2020