Il 26 giugno 1967 moriva don Lorenzo Milani. 

Di lui si è detto, si è parlato, si è scritto molto, ma non si sono esaurite la ricchezza, la bellezza, la profondità, la novità del suo messaggio e, soprattutto, della sua vita.

Don Lorenzo è presente anche nelle nostre origini e nella nostra storia, perché la sua persona e l’incontro con lui fanno parte delle radici, delle scelte e dell’esperienza sacerdotale di Emilio. È per questo motivo che riproponiamo ai nostri lettori un articolo scritto da Emilio nel 2007.

 

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Parlare di don Milani, oggi, è quasi di moda. Nell’arco di questi quarant’anni si sono succeduti convegni, rievocazioni, dibattiti, sono stati pubblicati libri, sono stati girati film.

In un certo qual senso don Lorenzo Milani è diventato “un mito” che da più parti si cerca di classificare e incasellare in un luogo prestabilito per far quadrare i conti.

Nella sua Storia della Chiesa in Italia, padre Penco ne parla come di “una delle figure più singolari, e in un certo senso unica, della Chiesa del secondo dopoguerra”[1].

Quarant’anni fa non era così. Ricordo come in Seminario ne parlavamo quasi di nascosto e sottovoce. Eravamo solo in pochissimi ad averlo conosciuto e ad aver letto quel poco che aveva scritto. Questo perché don Milani era troppo scomodo, a destra come a sinistra, e forse ancor più negli ambienti ecclesiali. Era uno di quegli uomini pericolosi che in poche battute vanno all’essenziale e smascherano “i pensieri più reconditi del cuore”, non permettendo che si possa continuare a parlare dei poveri senza fare per essi una precisa scelta di campo.

Chi era don Milani?

Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923, in una famiglia della borghesia agiata e colta[2]. Dalla parte materna eredita quella cultura ebraica che affonda le proprie radici nel mondo mitteleuropeo.

L’incontro con la Chiesa e la vocazione sacerdotale sono quasi contemporanei. Nel 1943 entra in Seminario, nel 1947 è ordinato prete.

Mandato come cappellano nella parrocchia di S. Donato a Calenzano, zona di fortissima presenza operaia e comunista, sperimenta subito la vanità e l’inutilità di tutta una prassi pastorale che tende a conservare e salvaguardare l'esistente laddove ormai si tratta di evangelizzare.

In questo contesto don Milani constata quanto fossero lontani gli operai dalla Chiesa e dalla società civile e la loro inferiorità rispetto ai coetanei, figli della borghesia.

Il rimedio che egli propone e attua è la scuola popolare. La sua esperienza produce contrasti e divisioni. Per questo viene allontanato e inviato in una parrocchia di montagna, Barbiana, di poche decine di contadini.

Nel 1957 pubblica Esperienze pastorali, un libro di quasi cinquecento pagine che costituisce uno stimolante saggio di sociologia religiosa.

Don Milani individua “nell’incapacità di esprimersi e di intendere l’espressione del pensiero altrui, per carenza linguistica e lessicale”, la causa delle condizioni d’inferiorità e di estraneità degli operai e contadini[3].

Va tenuto presente il contesto politico-sociale dell’Italia del dopoguerra, ove le classi operaie e contadine pagano i pesantissimi prezzi della ricostruzione e di un capitalismo molte volte selvaggio e senza regole.

La scelta che fa don Milani è una precisa scelta di classe. La motivazione è intensamente ortodossa. Per questo don Milani rimane fino alla fine inattaccabile.

La lettera che scrive nel 1950 a un giovane comunista è, senza dubbio, una stupenda pagina di letteratura cristiana:

“Ti manca il pane? Che vuoi che me ne importasse a me, quando avevo la coscienza pulita di non averne più di te, che vuoi che me ne importasse a me che vorrei parlarti solo di quell’altro Pane che tu dal giorno che tornasti da prigioniero e venisti colla tua mamma a prenderlo non m’hai più chiesto... Pipetta, fratello, quando per ogni tua miseria io patirò due miserie, quando per ogni tua sconfitta io patirò due sconfitte, Pipetta quel giorno, lascia che te lo dica subito, io non ti dirò più come dico ora: ‘Hai ragione’. Quel giorno finalmente potrò riaprire la bocca all’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: ‘Pipetta hai torto. Beati i poveri perché il Regno dei Cieli è loro’”[4].

Don Milani scrive pagine stupende e piene di carica religiosa ed evangelizzatrice che, a più di mezzo secolo di distanza, mantengono la stessa intensità e attualità.

Egli sa che deve fare i conti con la storia e non può sfuggirla. In lui c’è tutto l’ardore del neofita e la passione dell’apostolo. In lui Dio e mondo sono ben distinti, ma non di certo separati.

A un amico che era rimasto turbato dai suoi atteggiamenti così scrive:

“Dovrei arrendermi a 30 anni come s’arrende un vecchio scoraggiato e scettico? Dovrei buttarmi soltanto alla preghiera anche per questo? Rimettermi soltanto all’azione dello Spirito Santo? Lo faccio, credimi, ma lo faccio col rimorso di chi sa che l’abito che porta non è quello della Trappa, ma un abito che impegna a cercare anche le vie terrene di portare la Grazia”[5].

Esperienze pastorali non passa inosservato. Nonostante fosse uscito con l’imprimatur della Curia Vescovile di Firenze e la prefazione di un Arcivescovo, subisce una durissima critica in una recensione de “La Civiltà Cattolica”[6] e per ordine dell’allora Sant’Uffizio viene ritirato dal commercio e ne sono proibite ogni ristampa e traduzione.

Questo provvedimento non solo non soffoca, ma al contrario fa conoscere al di fuori di una piccola cerchia il priore di Barbiana.

La scuola di Barbiana

Barbiana è per don Milani come un esilio. Ma egli sa trasformare questa sperduta parrocchia di montagna in un luogo che risveglia le coscienze e chiama a riflettere sulla forma di essere e di presenza della Chiesa in Italia.

Barbiana, da luogo sperduto dell’Appennino toscano, diviene uno dei pochi luoghi-simbolo che sanno parlare alla coscienza e all’intelligenza dei giovani.

Anche a Barbiana don Milani insegna. La scuola è tutto. E lì a Barbiana non può che essere così. Una scuola che si apre all’universalità dell’umanità pur rimanendo sempre ancorata al concreto storico dei volti dei ragazzi che la frequentano.

Il suo linguaggio è tagliente, paradossale e provocatorio: interroga e scava.

In proposito così lo ricordano i ragazzi di Calenzano:

“Quando don Lorenzo lo riteneva necessario si esprimeva con toni forti e polemici utilizzando anche affermazioni paradossali per mettere in crisi convinzioni e certezze e per abituare le persone a riflettere”[7].

In don Milani Dio e i poveri si richiamano a vicenda e la scuola costituisce quasi un “ottavo Sacramento”[8].

Un’attenta lettura critica dell’opera di don Milani, con il distacco che danno i quarant’anni dalla morte, permette una maggiore obiettività di fronte a una serie di accuse che dovette subire in vita.

Una di queste, e non la meno grave, fu quella d’un certo illuminismo della sua proposta pastorale. Così si esprimeva il Card. Ermenegildo Florit in una lettera indirizzata a don Lorenzo pochi mesi prima della sua morte:

“Questo, in fondo, era il difetto anche del tuo libro Esperienze pastorali, nel quale la battaglia contro ogni altro metodo pastorale che non fosse la scuola (così almeno fu inteso) ti fece apparire un po’ illuminista”[9].

Ora la scelta de la scuola va intesa solo a partire dalla questione dell’evangelizzazione che don Milani comprende con intuito pastorale essere ormai la questione ineludibile anche della Chiesa italiana[10].

Egli affronta il problema là ove si trova, nel contesto socio-culturale che gli è dato vivere, esaminando e cercando d’interpretare la realtà storica nella quale è situato.

La scelta evangelizzatrice è centrale nel progetto pastorale di don Milani. È la chiara scelta di chi si riconosce soltanto uno strumento nelle mani di Dio, tramite nell’incontro tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo.

“Dio — scrive in Esperienze pastorali — non mi chiederà ragione del numero dei salvati nel mio popolo, ma del numero degli evangelizzati. Mi ha affidato un Libro, una Parola, mi ha mandato a predicare ed io non me la sento di dirgli che ho predicato quando so con certezza che per ora non ho predicato, ma ho solo lanciato parole indecifrabili contro muri impenetrabili, parole di cui sapevo che non sarebbero arrivate e che non potevano arrivare”[11].

Si tratta di dare quel “minimo di strumentario tecnico senza del quale non è possibile sostenere un dialogo”[12].

Resta, poi, il problema della scelta personale d’ognuno. E su questo don Milani è di un’estrema chiarezza.

“Non che io abbia della cultura una fiducia magica, come se essa fosse una ricetta infallibile, come se i professori universitari fossero automaticamente tutti più cristiani e avessero il Paradiso assicurato mentre il Paradiso fosse precluso agli indotti pecorai di questi monti. È che i professori se vogliono possono prendere in mano un Vangelo o un Catechismo, leggerli e intendere. Dopo poi potranno fare il diavolo che vorranno: buttarli dalla finestra o metterseli in cuore, s’arrangino, se sceglieranno male sarà peggio per loro”[13].

È in questo senso che va compresa questa espressione di don Milani:

“La scuola mi è sacra come un ottavo Sacramento. Da lei mi attendo (e forse ho già in mano) la chiave, non della conversione, perché questa è segreto di Dio, ma certo dell’evangelizzazione di questo popolo”[14].

Emilio Grasso

(Continua)

 

 

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[1] G. Penco, Storia della Chiesa in Italia, II. Dal Concilio di Trento ai nostri giorni, Jaca Book, Milano 1978, 562.

[2] Come biografia di don Milani, cfr. N. Fallaci, Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani, Milano Libri Edizioni, Milano 1974; cfr. M. di Giacomo, Don Milani. Tra solitudine e vangelo, Borla, Roma 2002. Per quanto concerne l’ambiente in cui don Milani è vissuto da sacerdote e ha maturato le sue scelte religiose, sociali e politiche, cfr. R. Francesconi, L’esperienza didattica e socio-culturale di Don Lorenzo Milani, Centro Programmazione Editoriale, Bomporto (MO) 1976. Fondamentale, perché ha introdotto l’esperienza di don Milani nei paesi ispano-americani, rimane lo studio di J.L. Corzo Toral, Lorenzo Milani, maestro cristiano. Análisis espiritual y significación pedagógica, Universidad Pontificia (Bibliotheca Salmanticensis. Estudios 47), Salamanca 1981.

[3] Cfr. L. Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1957, 221.

[4] Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana. A cura di M. Gesualdi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1970, 4-5.

[5] L. Milani, Esperienze pastorali..., 467.

[6] Cfr. A. Perego, Le Esperienze pastorali di don Lorenzo Milani, in “La Civiltà Cattolica” 109/III (1958) 627-640. Per una rilettura di quella recensione e del suo significato, cfr. la relazione di G. De Rosa in A trent’anni da “Esperienze pastorali” di don Lorenzo Milani. Atti del convegno di Calenzano 16-17 dicembre 1988. A cura di M. Sorice, Giunta Regionale Toscana-Franco Angeli, Firenze-Milano 1990, 48-56.

[7] Gruppo don Milani - Calenzano, Don Lorenzo Milani. Riflessioni e testimonianze a trent’anni dalla morte, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1997, 82. Esemplare, in tal senso, la lettera scritta a Nicola Pistelli, direttore del settimanale “Politica”. In essa abbiamo un “saggio” del linguaggio provocatorio di don Milani, cfr. Lettere di don Lorenzo Milani..., 122-137.

[8] Sul tema della “scuola come ottavo Sacramento”, cfr. M.S. Calicchia - R. Lanfranchi, La scuola e la parola. Una scelta di don Lorenzo Milani per la piena umanizzazione dei giovani, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1992, 15-42.

[9] Lettere di don Lorenzo Milani..., 282.

[10] Cfr. E. Grasso, La coscienza missionaria della Chiesa in Italia dal Concilio ad oggi, in “Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft” 54 (1998) 23-34.

[11] L. Milani, Esperienze pastorali..., 201.

[12] L. Milani, Esperienze pastorali..., 189.

[13] L. Milani, Esperienze pastorali..., 200.

[14] L. Milani, Esperienze pastorali..., 203.

 

 

 

24/06/2025