Un apporto dell’ebraismo alla teologia delle religioni

 

Il pensiero di Elia Benamozegh

“Tra i membri incontestati del pensiero ebraico moderno, che attendono ancora piena udienza sia nel mondo ebraico che in quello non ebraico, figura al primo posto Elia Benamozegh”[1].

Elia Benamozegh (1823-1900), rabbino di Livorno, può essere considerato

“rappresentante e principe di tutta la famiglia dei dottori di Israele ai quali è direttamente collegato come loro erede vero, ed erede necessario a dare in pieno secolo diciannovesimo un’espressione completa, scientifica della verità ebraica”[2].

 

“Il suo allievo Samuele Colombo spiegava il programma di Benamozegh come volontà di guardare fissamente e fermamente il passato ed esplorare al tempo stesso il progresso, che procede velocemente; lungi dall’adorare esclusivamente uno dei due, cercare l’espressione che li abbracci in una nuova armonia”[3].

L’opera di Benamozegh, in special modo il suo scritto Israele e l’umanità, è fondamentale per una conoscenza più approfondita dell’ebraismo nel rapporto con le religioni.

La pubblicista ebreo-britannica Emma Klein ha messo in guardia in molti modi dal fraintendimento in cui generalmente perseverano sia ebrei sia cristiani, per i quali l’ebraismo non sarebbe una religione missionaria. Giustamente – nota la Klein – tutto dipende da che cosa s’intende per missione[4].

Pallière, un cristiano convertito all’ebraismo, così sintetizza il pensiero di Benamozegh riguardo al rapporto tra Israele e tutta l’umanità:

“Secondo l’insegnamento dell’ebraismo, la Legge divina comprende il codice mosaico, religioso e nazionale a un tempo, al quale il solo Israele è assoggettato, e uno statuto universale destinato a tutta l’umanità e che i rabbini hanno chiamato legge noachide perché risulta dall’alleanza contratta da Dio col genere umano intero nella persona di Noè; doppio aspetto d’una sola e identica Legge divina. Due cose distinte, e la cui identificazione è altrimenti impossibile, il particolarismo e l’universalismo, si trovano così armonizzati nella tradizione israelita”[5].

Per Benamozegh,

“la lotta tra le religioni ha avuto inizio con il cristianesimo. Prima che esso proclamasse il Dio unico e l’unicità della fede per tutta l’umanità, ciascun popolo aveva le sue divinità particolari e riconosceva il legittimo dominio delle divinità straniere sugli altri paesi; ben lungi dal cercare di soppiantarne il culto come falso ed empio, riteneva dovere di ogni nazione adorare gli dèi che presiedevano al proprio destino. Con il cristianesimo invece, e ciò costituisce il suo maggior titolo di gloria, non vi è più che una sola religione che possa procurare la salvezza, e ogni altro culto diviene sacrilegio”[6].

Per Benamozegh – come afferma Pallière – questa pretesa del cristianesimo ha provocato la rottura dell’equilibrio tra particolarismo ed universalismo. Al contrario, egli trova nella Bibbia, nello stesso tempo, il fondamento dell’universalismo e del particolarismo:

“‘Se voi obbedirete alla mia voce e conserverete la mia alleanza, voi sarete per me un possesso particolare fra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra, ma voi, voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa’ (Es 19, 5-6). Se tutta la terra appartiene a Dio, tutti i popoli della terra sono dunque i popoli di Dio e l’universalismo s’afferma in questo testo al tempo stesso che il particolarismo israelita. Di fatto, i sacerdoti non sono creati per sé stessi, ma per il servizio della collettività; le funzioni sacerdotali devolute a Israele suppongono dunque l’esistenza d’una famiglia di popoli costituente in linguaggio cristiano la Chiesa universale, e i popoli, esentati dal mosaismo, non saranno sottoposti che al culto di Dio e all’osservanza della legge morale, tali quali sono contenuti nei sette comandamenti detti noachidi, cioè imposti a tutta la discendenza di Noè[7].

Israele e i figli di Noè

La specificazione della legge noachide[8] è soggetta a varie discussioni che, per Benamozegh, possono ridursi ad un metodo diverso di classificazione[9].

Possiamo pertanto attenerci alla

“più antica baraita che li enumera come segue: ‘I nostri dottori hanno detto che sette comandamenti sono stati imposti ai figli di Noè: il primo prescrive loro di istituire magistrati; gli altri sei proibiscono: 1) il sacrilegio; 2) il politeismo; 3) l’incesto; 4) l’omicidio; 5) il furto; 6) l’uso delle membra di un animale vivo’[10].

Ad Israele, dunque, è affidata la missione sacerdotale (particolarismo) a vantaggio di tutti i popoli (universalismo).

Lungi dall’isolarlo dall’avvenire religioso dell’umanità, questa missione lo colloca nel cuore di essa e le rende un servizio peculiare.

“Se vi è particolarismo presso gli ebrei, è quello di essere più universali, più cosmopoliti, più cattolici. Sì, se non si sono mai fusi nell’umanità di un tempo, di un luogo, è stato per essere meglio uniti di cuore e di spirito all’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi; e se questa fusione si fosse compiuta, sarebbero finiti la loro missione sacerdotale e l’avvenire religioso dell’umanità”[11].

Quale, dunque, il rapporto tra la legge di Noè e la legge di Mosè?

“Noi, ebrei – scrive in una lettera Benamozegh –, proprio noi siamo i depositari della religione destinata all’intero genere umano, la sola religione cui i gentili siano assoggettati e per cui essi sono salvati e veramente nella grazia di Dio, come lo sono stati i nostri patriarchi prima della Legge”[12].

Infatti il noachismo

“fu la legge di tutti i patriarchi prima di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di tutti i loro figli e discendenti e di Mosè stesso prima della rivelazione sul Sinai. La religione di Israele, anteriormente all’avvento di Mosè, altro non fu che il noachismo; questo nome che continua a designare la legge generale dell’umanità e che si applica a tutti quelli che la professano, è dunque, dopo quello della legge israelitica e forse accanto al nome di Israele, ciò che vi è di più venerabile nel mondo”[13].

Quale risulta essere la relazione tra Israele e i gentili?

Benamozegh intende questa relazione come un servizio prestato ai gentili nella conservazione e nella propagazione della legge noachide.

“La religione dell’umanità non è altro che il noachismo. ... Questa è la religione conservata da Israele per essere trasmessa ai gentili. Questa è la via che s’apre davanti ai vostri sforzi, e davanti ai miei anche, intesi a propagarne la conoscenza”[14].

Usando la terminologia laici-sacerdoti, Benamozegh vede i gentili “non sottoposti che alla sola antica e perpetua religione universale”[15] mentre gli ebrei “si trovano sottoposti come sacerdoti dell’umanità alla regola ieratica mosaica”[16]. Dio si è sempre occupato dell’umanità intera. La legge noachide non è una creazione dell’uomo né frutto del ragionamento dell’uomo. Scrive Benamozegh: “Il noachismo non è stato istituito da Noè. Esso risale all’Alleanza fatta da Dio con l’umanità nella persona di questo giusto”[17].

Quanto alla intelligibilità, “la legge noachide o universale che governa l’umanità intera deve necessariamente essere più razionale della legge mosaica, più adeguata all’aspetto intelligibile delle cose”[18].

Per questo carattere “la legge noachide si ritrova infatti per intero nella legge mosaica. ... Ecco perché i rabbini affermano che non c’è niente che sia proibito ai noachidi e permesso agli ebrei”[19].

Anche in questo l’ebreo presta un servizio al noachide e si assoggetta a dei pesi a causa della sua funzione sacerdotale nei confronti del noachide. Ciò comporta che “nella legge mosaica è contenuta tutta una parte che è estranea al noachismo e non riguarda che i soli israeliti: la legislazione, il rituale, tutto il culto esteriore propriamente detto”[20].

Il fatto, però, che pure l’israelita sia un noachide comporta anche tutta una comunanza nella legge.

V’è dunque un elemento di separazione, ma anche di profonda unione.

“Si trovano d’altro canto cose comuni alle due leggi: le virtù naturali e i dogmi razionali. Tutto si riassume, dal punto di vista filosofico, in una duplice legge: il razionale e il soprarazionale, il conoscibile e l’inconoscibile, l’intelligibile e il sovraintelligibile. Il primo dei due aspetti lo troviamo nella legge noachide; al secondo invece corrisponde la Torah[21].

Riprendendo un passo del libro dell’Esodo, Benamozegh ricorda la parola che Dio mette in bocca a Mosè rivolto al Faraone: “Israele è il mio figlio primogenito” (Es 4, 22).

Per Benamozegh

“la qualifica di primogenito, lungi dall’escludere gli altri figli dal consorzio di Dio, li presuppone invece formalmente inseriti in esso. L’umanità è concepita come una grande famiglia di cui Dio è il Padre supremo e Israele, primogenito tra i popoli fratelli, è, come nell’antica società orientale, il sacerdote di tale famiglia, il depositario e l’amministratore delle cose sacre, il mediatore tra il cielo e la terra. Si trovava investito delle funzioni sacerdotali per il servizio di tutti”[22].

Emilio Grasso

(Continua)

 

 

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 [1] J. Jehouda, Préface, in E. Benamozegh, Morale juive et morale chrétienne, La Baconnière, Neuchâtel 1946, 7.

[2] Y. Colombo, La figura e il pensiero di Elia Benamozegh, in E. Benamozegh, Scritti scelti, Rassegna mensile di Israel, Roma 1955, 6. Sulla lapide il figlio Emanuele fece iscrivere: “Ultimo rappresentante e principe di una intera famiglia di dottori”, cfr. A. Guetta, Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di Elia Benamozegh, Edizioni Thálassa De Paz, Milano 2000, 14.

[3] A. Guetta, Filosofia e Qabbalah…, 13.

[4] Cfr. E. Klein, Making the Jewish voice heard, in “The Times” (9 aprile 1991), cit. in H. Küng, Ebraismo, Rizzoli, Milano 1993, 560.

[5] A. Pallière, Il Santuario sconosciuto. La mia “conversione” all’ebraismo. A cura di M. Morselli, Marietti, Genova-Milano 2005, 139; cfr. R. Fontana, Aimé Pallière. Un “cristiano” a servizio di Israele, Àncora, Milano 2001.

[6] E. Benamozegh, Israele e l’umanità. Studio sul problema della religione universale, Marietti, Genova 1990, 11. Il ricercatore israeliano Ya’aqov Fleischmann si stupisce della diversa considerazione che Benamozegh ha del cristianesimo in Morale ebraica e morale cristiana (un atteggiamento estremamente critico) e in Israele e l’umanità (un atteggiamento positivo) e lo attribuisce alle modifiche che il cristiano Aimé Pallière avrebbe apportato alla seconda opera, che pubblicò dopo la morte dell’autore, cfr. A. Guetta, Filosofia e Qabbalah…, nota 50, 65.

[7] A. Pallière, Il Santuario sconosciuto..., 140.

[8] Sul noachismo come elaborazione biblico-teologica, relativa a una teologia delle religioni e delle culture a partire dal giudaismo rabbinico, cfr. G. Rizzi, “Nohachismo” e teologia delle religioni, in “Ad Gentes” 10 (2006) 25-36.

[9] E. Benamozegh, Israele e l’umanità..., 222.

[10] E. Benamozegh, Israele e l’umanità..., 222.

[11] E. Benamozegh, Morale ebraica e morale cristiana, Marietti, Genova 1997, 177.

[12] Lettere di Elia Benamozegh, in A. Pallière, Il Santuario sconosciuto..., 175.

[13] E. Benamozegh, Scritti scelti…, 145.

[14] Lettere di Elia Benamozegh..., 175.

[15] Lettere di Elia Benamozegh..., 176.

[16] Lettere di Elia Benamozegh..., 176.

[17] Cfr. Lettere di Elia Benamozegh..., 175.

[18] E. Benamozegh, Israele e l’umanità..., 219.

[19] E. Benamozegh, Israele e l’umanità..., 277.

[20] E. Benamozegh, Israele e l’umanità..., 277.

[21] E. Benamozegh, Israele e l’umanità..., 277.

[22] E. Benamozegh, Israele e l’umanità..., 286.

 

 

 

24/06/2021